La Salute Mentale base del benessere fisico

 

17 maggio 2013

Progetti obiettivi nazionali sulla Salute Mentale

A cura del Dott. Michele Grossi - Psichiatra

Il 30 settembre 2005 a Bari presso la Facoltà di lettere si è tenuto il "Forum di Salute Mentale". Dai lavori è emerso che è necessario rafforzare i servizi con i CSM aperti 12 h o 24 h studiando la possibilità di gruppi appartamenti e piccole comunità.
Per vincere le difficoltà è richiesta una politica concreta, una attenzione vera verso il problema della salute mentale.

CSM Centro di Salute mentale di Vittorio Veneto

La Puglia negli ultimi dieci anni ha emanato leggi che hanno tentato di dare una svolta all'assistenza psichiatrica per troppo tempo condizionata dalla presenza dei manicomi pubblici e privati.
Leggi che si sono mosse nello spirito della 180 e dei due progetti obiettivi nazionali sulla Salute Mentale. Leggi approvate da governi regionali di centro destra ma che sono state il frutto di una azione costante di un grande movimento di operatori, utenti e familiari.

Sede della ASL di Bari

Un movimento che ha saputo aggregare associazioni sindacali, CGIL in primo luogo, società scientifiche e Terzo settore.
Un movimento largo, variegato, a volte polemico ma sempre animato dal desiderio di mettere il diritto alla salute mentale del cittadino- utente al centro dell'attenzione.
Un movimento che grazie a tutto ciò ha trovato nelle forze politiche, ieri di opposizione ed oggi di governo, alleati attenti e disponibili.

 

CSM Centro di Salute mentale di Vittorio Veneto

Quelle leggi, ed in particolare quella che ha regolamentato il funzionamento dei Dipartimenti di Salute Mentale (legge 30/98) devono essere oggi completamente ed integralmente applicate. Il processo di chiusura dei manicomi non significa la fine di tutti i contenitori della sofferenza e dell'esclusione.
Nella nostra, come in altre regioni, continuano ad esistere Istituti come gli Ortofrenici della Casa Della Divina Provvidenza.

Oggi, nel 2005, tra Bisceglie e Foggia circa 1000 pazienti vivono in condizioni disumane, privi dei più elementari diritti. Segregati insieme agli operatori, privati del tempo e della speranza che il futuro possa essere diverso dal passato.
Per tutti loro, utenti ed operatori, chiediamo al Governo regionale di avviare un grande progetto di superamento dell'Istituzione Totale insediando un tavolo tecnico regionale che studi meccanismi finanziari e operativi che riconducano utenti ed operatori ad una dignità e ad una umanità che se persa innesca perverse forme di violenza fìsica e morale. Ma altri e più pericolosi contenitori di devianza e marginalità si affacciano nella realtà pugliese: le case protette dove troppo spesso si ricorre alla contenzione fìsica dell'anziano, le RSA dove una regolamento regionale, che chiediamo di modificare immediatamente, consente di creare moduli da venti posti letto psichiatrici.
Ma la nostra preoccupazione più grande è per le stesse strutture riabilitative psichiatriche frettolosamente ed improvvidamente sanate alla fine della scorsa legislatura regionale da una giunta di centro destra alla disperata ricerca di consensi.
Le strutture residenziali pugliesi sono troppo, mal distribuite e prive di qualsiasi meccanismo che ne impedisca la trasformazione in contenitori fini a se stesso.
La parte migliore del privato sociale è con noi a chiedere al Governatore Vendola di rivedere le norme ed i meccanismi che hanno consentito a rampanti affaristi di accreditarsi a spese della parte migliore di un movimento nato dalla lotta al manicomio.

L' introduzione delle nuove norme sulla riforma del welfare pugliese sancite dalla legge regionale 17, nonché il piano sociale regionale, avranno un impatto negativo e gravi conseguenze sui livelli di vita e sulla capacità dei cittadini affetti da malattia mentale di mantenere o di raggiungere un livello sociale dignitoso.
Quello che sta avvenendo nella stesura dei Piani Sociali di zona ci allarma e preoccupa. La scarsa attenzione che molti sindaci hanno dedicato.in questi anni, ai problemi psichiatrici, la tendenza a ripartire le risorse sul maggior numero possìbile dì cittadini con il conseguente effetto di scontentare tutti senza aiutare 'nessuno, sta producendo piani che non riusciranno a creare occasioni di reintegrazione sociale ma che abbasseranno la copertura sociale oggi garantita dalle AUSL La percentuale minima del 5% che il Piano Sociale Regionale garantisce alla spesa psichiatrica è assolutamente insufficiente e di gran lunga inferiore alla somma che la stessa Regione Puglia erogava per sussidi mensili terapeutico-riabilitativi.
Gravissima è,quindi, la soppressione della legge regionale 26/87, sui sussidi agli infermi di mente.
I 4 milioni di euro che le AUSL hanno erogato in questi anni sono stati convogliati nel calderone generale della spesa sociale senza alcuna norma che consenta di non interrompere i programmi in corso così non si consentirà più a molti utenti di vivere dignitosamente in una realtà in cui si associano malattia e povertà.
L'attenzione al sociale e a tutti gli interventi volti alla risocializzazione dell' utente non ci devono far dimenticare che al centro del circuito psichiatrico devono essere i servizi volti a garantire le migliori prestazioni sanitarie possibili ai cittadini pugliesi.
I Centri di Salute Mentale (CSM), sono posti, dalla legge regionale 30/98, al centro dell' assistenza psichiatrica.
Pressocchè adeguati dal punto di vista quantitativo, pur tuttavia si presentano per lo più organizzati come semplici ambulatori specialistici, con lunghe liste di attesa, aperti solo nei giorni feriali, a volte neanche sulle 12 ore, separati dalla comunità locale.
Costruiti e modulati su logiche privatistiche, caratterizzati da spazi ed arredi asettici, a volte degradati, troppo spesso vuoti, sembrano adatti all'evitamento della presa in carico, ad una attenzione superficiale verso i "quasi normali" e alla rimozione dei "pazienti gravi" che faticano ad accedere alle cure, che infatti rapidamente vengono rimossi verso le strutture private convenzionate.
Ci fa piacere riportare qui una bella ed esaustiva descrizione ripresa dal nostro documento costitutivo:" Lo psichiatra riceve su appuntamento per dispensare psicofarmaci, lo psicologo riceve su appuntamento per dispensare psicoterapia, l'infermiere prende gli appuntamenti e somministra la terapia farmacologica, l'assistente sociale riempie i moduli per le domande di invalidità e l'immissione nel circuito della cronicità".
Nel prossimo Piano Sanitario Regionale chiediamo che la Salute Mentale torni ad essere una priorità. Vanno definiti e coperti gli organici per un Centro di salute Mentale aperto 12, meglio 24, ore al giorno sette giorni su sette, CSM che si ponga come primo obiettivo l'elaborazione di progetti multiprofessionali terapeutico riabilitativi individuali volti alla reale e continua presa in carico del paziente.

I Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (SPDC) in troppi Dipartimenti di Salute Mentale (DSM) sono stati collocati dall' ormai superato Piano di Riordino ospedaliere in Ospedali marginali e destinati a diventare lungodegenze per anziani e disabili.
Questa scelta da sempre contestata da operatori,utenti e familiari deve essere ripensata perché la presenza degli SPDC negli ospedali per acuti simboleggia la possibilità di ottenere una "guarigione" per una malattia che troppi credono incurabile ed inguaribile.

Vogliamo restare a pieno diritto nella Sanità, quella con la S maiuscola, respingendo qualsiasi tentativo di ricondurci alla separatezza che fino al 1985 ci aveva fatto appartenere al limbo dell'assistenza agli infermi di mente gestita dalle province. Ma questi SPDC devono rifiutare l'uso della contenzione come strumento di cura, la Regione ha investito risorse finanziarie, in questi anni, in programmi di miglioramento della qualità dell'assistenza negli SPDC ora deve avviare un progetto che conduca nell'arco di valenza del prossimo piano sanitario al definitivo e generalizzato rifiuto della contenzione fisica.
I Centri Diurni spesso si limitano a raccogliere le persone rifiutate o espulse dai CSM, diventando luoghi di stazionamento e di intrattenimento che producono oggetti inutili e dequalificati. Invece possono e devono rispondere ad una importante funzione terapeutica divenendo il luogo di costruzione di un progetto che abbia come partner le cooperative sociali di tipo B e come interlocutore gli Enti Pubblici pronti a riservare quote dei loro appalti a questo tipo di cooperazione, l'unica in grado di offrire a tutte le forme di disagio una vera alternativa all'assistenzialismo paternalistico dei sussidi economici.
Le Strutture Residenziali hanno avuto in questi ultimi anni, in particolare dopo il '98 a seguito della definitiva chiusura degli ospedali psichiatrici, una notevole crescita numerica: dalla ricerca Progres i posti-residenza dei DSM pugliesi risultano essere circa 1368, troppi e concentrati spesso solo in alcune Vi è un eccesso di strutture residenziali a 24 ore mentre è impossibile realizzare strutture a basso livello di assistenza come i gruppi appartamento che sono luoghi in cui l'individuo può in autonomia, ma con il sostegno saltuario degli operatori progettare la vita futura.
Carente è l'iniziativa della Regione nel definire la durata massima dei trattamenti riabilitativi nelle strutture residenziali e negli stessi Centri Diurni oltre ad indicatori di qualità che consentano di differenziare una struttura dall'altra e che permettano, pur nel rispetto delle differenze tra i vari utenti, di prevedere al momento dell'ammissione il percorso da realizzare affinché il tempo della permanenza in struttura sia il tempo del cambiamento e della ricerca dell'autonomia: una cura senza fine somiglia ad una condanna più che ad una terapia.

E' importante, perciò, ipotizzare la creazione delle strutture residenziali previste dalla legge di riforma dei Servizi Sociali, strutture a cui il paziente possa accedere, una volta terminato il progetto terapeutico riabilitativo , che ne garantiscano la permanenza nel tessuto sociale .evitino la "reclusione" nelle case protette, come avviene oggi, e favoriscano nei fatti quella tanto auspicata integrazione tra sanitario e sociale prevista dal piano sociale regionale.
Una volta definiti durata del progetto terapeutico riabilitativo ed indicatori di qualità delle strutture riabilitative, fermo restando la necessità che sia il Centro di salute Mentale ad autorizzare ricoveri e dimissioni dalle stesse, ogni ulteriore polemica tra gestione pubblica o privata appare frutto di scelte solo ideologiche.
Un privato che rinunci ad inseguire logiche di profìtto ma che accetti fino in fondo il ruolo sociale integrandosi con il servizio pubblico.
Le famiglie e le associazioni
La famiglia colpevolizzata dalla psichiatria manicomiale sta oggi assumendo un importante ruolo di stimolo-e collaborazione per i servizi pubblici in particolare.
Nostante ciò molti operatori vivono come fastidiosa e ingombrante la presenza dei familiari.
I servizi che veramente lavorano nella comunità al contrario hanno bisogno di riconoscere i familiari e gli utenti per trovare con loro obiettivi comuni e valorizzare nuove risorse.
Una attenzione particolare va posta ai minori con problemi psichici, la collocazione dei servizi di Neuropsichiatria infantile all'interno dei DSM impedisce di fatto l'integrazione di questi servizi con tutti gli altri servizi sanitari e sociali chiamati a garantire il benessere psico-fìisico del bambino.
Una riflessione attenta dovrà essere avviata prima della scrittura del Piano Sanitario Regionale.
Se queste sono le questioni frettolosamente citate in una così importante occasione non può e non deve essere persa l'occasione di rendere permanente il confronto tra Istituzioni di governo, sindacati, società scientifiche, Università, Associazioni di utenti e familiari e Terzo settore pertanto chiediamo alla Giunta Regionale di istituire l'Osservatorio permanente sulla salute Mentale con il compito di monitorare i fenomeni legati all'assistenza psichiatrica e di indire a breve la Prima Conferenza Regionale sulla Salute Mentale con l'intento di elaborare un progetto obiettivo salute mentale, da integrare nel prossimo piano sanitario regionale.
Solo così la politica della gentilezza e del confronto, la politica che riscalda di ideali le scelte tecniche, prenderà definitivamente il posto della Politica dell'arroganza e del decisionismo che non ammetteva critiche.

Dott. Michele Grossi
Psichiatra e Psicoterapeuta
Responsabile Centro di Salute Mentale Ausl FG/2 Cerignola
CSM di Manfredonia
E' impegnato per una forte integrazione dei disagiati psichici in attività produttive, per una più efficace cooperazione fra servizi presenti nel territorio, Cooperative Sociali, Impresa Sociale e solidarietà.

29 agosto 2021

Per avviare la terza rivoluzione. La cura nella Salute Mentale come valorizzazione della persona e difesa della democrazia.

di Angelo Barbato (Istituto Mario Negri Milano) - Antonello D’Elia (Presidente di Psichiatria Democratica) - Pierluigi Politi (Ordinario di Psichiatria Università di Pavia) - Fabrizio Starace (Presidente Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica) - Sarantis Thanopulos (Presidente della Società Psicoanalitica Italiana)

08 agosto 2021 La cura del dolore nel campo della Salute Mentale pubblica è in crisi. Il dominio del modello biomedico l’ha inaridita. L’approccio puramente farmacologico alla “sofferenza mentale” e, tendenzialmente, a tutte le problematiche esistenziali, appiattisce sulla biologia i nostri desideri, sentimenti, pensieri e azioni, facendo leva su un obsoleto determinismo naturalistico. Esso ha creduto di potersi accreditare scientificamente a forza di “evidenze”, costruite a sua immagine e somiglianza, ma l’aver perso di vista l’esperienza soggettiva l’ha condotto a risultati deludenti.

Ci sono state tante ricerche, investite grandi risorse finanziarie, sono stati pubblicati molti articoli, ma non sono stati ridotti i suicidi, i ricoveri e non sono stati migliorati gli esiti di guarigione delle persone con problemi di salute mentale. Il modello biomedico ha trovato sostegno nei media, nell’insegnamento universitario, in gran parte dei servizi di Salute Mentale e ha contagiato settori della psicologia. Si è capovolta progressivamente la prospettiva, faticosamente conquistata, dell’umanizzazione della cura psichiatrica e si è registra un ritorno prepotente alla logica dell’“istituzione totale” rivisitata: la reclusione delle persone sofferenti in esistenze diagnostiche costruite in funzione di trattamenti farmacologici disinvolti. Le ricerche scientifiche che mostrano l’uso eccessivo, inappropriato dei farmaci, che soffoca insieme ai sintomi anche la persona, e indicano la possibilità concreta di un loro uso pensato, accurato, sono ignorate. La psichiatria dissociata dalla psicoanalisi/psicologia dinamica, dalla pratica psicoterapeutica, dalla fenomenologia, dalla psichiatria sociale e relazionale si è impoverita e rischia di ridursi in mestiere tecnico di contenimento/sedazione delle emozioni, fatto da psichiatri che pensano e agiscono secondo algoritmi. La relazione terapeutica si è chiusa nel rapporto assistenziale a senso unico tra curanti e curati, invece di costituirsi nell’ambito della reciprocità, dello scambio affettivo e mentale tra pari. L’attuale stato delle cose favorisce la spersonalizzazione dei vissuti sia degli operatori sia delle persone sofferenti.

Rappresentazione teatrale"La Collina" Centro Diurno di Monte Sant'Angelo

E tende a creare un clima depressivo, emotivamente povero, negli spazi della cura. La riforma Basaglia, che ha ridato dignità di cittadinanza e diritto alla soggettivazione della propria vita al “paziente psichiatrico” (sino ad allora non considerato entità giuridica e politica), è sotto attacco, nonostante le dimostrazioni di qualità provenienti da quei servizi che ne hanno applicato lo spirito in modo innovativo.

È tempo che tutte le forze riformatrici che considerano il pensiero e la prassi della cura psichica pubblica come strumenti critici di costruzione solidale e democratica della vita cittadina si uniscano per opporsi alla controriforma in atto. Per costruire un approccio al dolore psichico fondato sul dialogo tra saperi che si confrontano tra di loro in modo paritario. Lavorare insieme, unire saperi ed esperienze in un approccio multidisciplinare, ha rappresentato, nei momenti migliori, l’elemento portante dei dispositivi di cura. Questa eredità tradita deve essere recuperata. A partire dalla valorizzazione del lavoro dell’équipe territoriale, fulcro dell’intero sistema della Salute Mentale e luogo in cui integrano tra di loro i diversi approcci alla cura: – Il trattamento farmacologico mirato e critico, coadiuvato da un lavoro paziente di sostegno relazionale e di accoglienza umana del dolore, che è funzionale al contenimento dell’angoscia acuta, invasiva, e della depressione. – La cura, ispirata alla teoria e alla clinica psicoanalitica/psicodinamica (nelle sue varie forme: individuale, di gruppo, di coppia, di famiglia) e ai principi fenomenologici, che promuove il lavoro di trasformazione psichica necessario al ritorno in gioco della soggettività desiderante. – La terapia delle relazioni, che usa principi sistemico-familiari e cognitivo-dialogici. – Il lavoro di integrazione socio-culturale nella comunità in cui si vive, che richiede una competenza specifica delle dinamiche psichiche e sociali della collettività, una grande sensibilità umana e una collaborazione costante con le istituzioni e con gli ambienti della cultura umanistica, della letteratura, del teatro, del cinema, dell’arte. Questi ambienti hanno una funzione preziosa nella costruzione della comunità, nella configurazione delle reti condivise di significazione dell’esperienza che creano un senso di identità aperto alla differenza, all’alterità, non chiuso in sé stesso. – Il lavoro di prevenzione, basato sulle diagnosi precoci, sulla valorizzazione dell’intervento psicopedagogico e della psicoterapia nei bambini e negli adolescenti, sull’individuazione di realtà familiari fragili, sugli interventi di sostegno in ambienti sociali vulnerabili colpiti da fenomeni di degrado, nelle scuole, nei luoghi di lavoro, negli ospedali. – La partecipazione attiva e organizzata degli utenti con problemi di salute mentale che portano il contributo della loro soggettività al processo di cura. – Il superamento delle pratiche coercitive e violente attraverso la critica costante e la promozione di pratiche alternative in tutti i contesti di cura. Il buon funzionamento dell’équipe ha un suo indispensabile complemento in un rigoroso lavoro epidemiologico e di ricerca clinica che affida la verifica del lavoro svolto soprattutto a criteri di qualità: lo sviluppo dei legami affettivi, della creatività e della libertà di espressione personale. L’équipe richiede una buona formazione di partenza in tutte le sue componenti. Essa non è, tuttavia, la somma delle competenze che la compongono, non è un’attività poli-ambulatoriale. Non si identifica con una sede ma la sua funzione si diffonde nel territorio e eccede la sua composizione in due sensi. Da una parte include nel suo lavoro il gruppo dei pazienti, i loro familiari, le forze culturali e sociali con cui interloquisce; dall’altra amalgama tra di loro le diverse prospettive che ospita nel suo interno creando una prospettiva unitaria, un lavoro di cura coerente. L’équipe è luogo di formazione e di ricerca permanente, il luogo in cui la terapia della sofferenza grave, invasiva, si configura attraverso l’esperienza in modo autentico, vero. La cura psichica non è un’applicazione di principi tecnici ai quali le persone sofferenti devono aderire, in una falsificazione reciproca di rapporti. È una prassi, un prattein nel senso nobile del termine che gli ha assegnato Aristotele: l’agire che ha come suo oggetto la vita dell’uomo. La prassi della cura psichica è un lavoro che segue principi scientifici, ma prende forma nell’ambito di relazioni personali, non anonime, come sapere artigianale che riconosce in ogni storia di sofferenza la sua particolarità, in ogni esistenza sofferente la sua trama originale. L’umanizzazione della cura non perde mai di vista gli strumenti farmacologici o i dispositivi relazionali che contengono l’angoscia. La cura, tuttavia, è nella sua essenza un prendersi cura della relazione con le persone che soffrono. Essa è, al tempo stesso, mezzo e fine, affermazione della soggettività. È fuorviante e profondamente dannoso per la salute psichica dell’intera comunità che la cura della sofferenza grave sia orientata e definita da coloro che lavorano in laboratorio, sulla base di schemi diagnostici “obiettivi” prodotti da una compulsione tassonomica che nulla aggiunge al sapere prognostico, senza entrare mai in contatto con le persone sofferenti, senza conoscere i loro desideri, le loro emozioni, i loro pensieri travagliati, senza sentire il loro respiro, senza incrociare il loro sguardo. Le espressioni bizzarre, tormentate, incoerenti di una psiche lacerata se da una parte sono manifestazione di una sottostante angoscia destrutturante, che deve pur trovare tregua, sollievo, dall’altra sono l’unica forma con cui la persona sofferente si tiene viva e comunicante. La loro soppressione attraverso un abuso di cure farmacologiche, fa rientrare dalla finestra ciò che si pensava essere stato accompagnato alla porta: la logica manicomiale, la cancellazione violenta di identità, di esistenze umane. L’approccio puramente quantitativo alla terapia del dolore psichico – la sua sedazione che mira soprattutto a renderla invisibile – ha portato allo sviluppo di un dolore sordo che svuota il senso dell’esistenza, diffondendosi ben al di là dei confini della sofferenza “psichiatrica” conclamata. Le soluzioni anestetiche non riguardano solo coloro che patiscono una sofferenza psichica grave, ma affliggono chiunque nelle varie fasi della sua vita incontri difficoltà, incertezze, vacillamenti, crisi esistenziali. Persone giovani o adulte che hanno un’alta probabilità di essere ridotte a un’etichetta diagnostica con cui saranno portate ad identificarsi e con cui saranno identificate. Il progetto mistificante di una società senza dolore che passivizza i cittadini, sia deprimendoli sia spingendoli verso la scarica impulsiva/compulsiva delle loro emozioni, ha creato storicamente un terreno favorevole al totalitarismo. Ribellarsi all’equiparazione tra la persona e la sua biologia è una questione di civiltà. Contrastare la standardizzazione, l’omologazione dei comportamenti e la sottomissione della nostra concezione della vita al tecnicismo dilagante, è affermare la democrazia.
Illustrazione: Anna Parini per il settimanale “Internazionale”. Fonte: forumsalutementale

13 settembre 2021

Omettere le cure ai malati mentali, ai poveri, agli anziani è un crimine contro l’umanità

di Matteo Notarangelo*

A distanza di quarantatré anni dalla cosiddetta “legge Basaglia”, le persone con disturbi mentali continuano ad avere un accesso ridotto e discriminato ai servizi sanitari. I malati mentali, i poveri e gli anziani restano “cittadini” svantaggiati, anche durante la pandemia. La sanità pubblica mostra poca attenzione alle patologie somatiche dei sofferenti psichici, delle persone povere e degli anziani fragili. In questi anni pandemici, i loro decessi precoci sono stati determinati soprattutto da patologie somatiche concomitanti, favorite dalle disuguaglianze di accesso alle cure e al trattamento per malattie del corpo

Intervento al convegno del Meeting Nazionale ANPIS (Associazione Nazionale per l’Inclusione Sociale) “Sottosopra” XX Edizione settembre 2021

L’emergenza sanitaria pandemica nega le cure ai malati mentali, ai poveri, agli anziani. A distanza di quarantatré anni dalla cosiddetta “legge Basaglia”, le persone con disturbi mentali continuano ad avere un accesso ridotto e discriminato ai servizi sanitari.  I malati mentali, i poveri e gli anziani restano “cittadini” svantaggiati, anche durante la pandemia. La sanità pubblica mostra poca attenzione alle patologie somatiche dei sofferenti psichici, delle persone povere e degli anziani fragili. In questi anni pandemici, i loro decessi, precoci, sono stati determinati soprattutto da patologie somatiche concomitanti, favorite dalle disuguaglianze di accesso alle cure  e al trattamento per malattie del corpo. Ai malati mentali, agli anziani e agli "scarti" sociali viene, tutt'oggi, problematizzato il ricovero ospedaliero e, spesso, vengono lasciati nella marginalità, nell’abbandono con terapie farmacologiche inappropriate, suggerite a distanza. La negazione del diritto alla cura non riguarda solo  i malati poveri, indesiderati, ma anche chi risiede in istituzioni psichiatriche o residenze per anziani. I fattori che motivano i processi di esclusione e di negazione del diritto costituzionale alle cure ospedaliere sono: gli ostacoli procedurali posti dalle istituzioni di cura, i pregiudizi della cultura medica, le condizioni di svantaggio sociale dei malati mentali, la bassa contrattualità sociale delle persone fragili e i silenzi delle autorità sanitarie. Nella lunga emergenza pandemica, questi ostacoli sono diventati  ragioni storiche e prevalgono nella cultura sanitaria, rafforzando le convinzioni che i disagiati psichici, i poveri e gli anziani possono avere una qualità di vita e di cura inferiore ai “sani”. Questa idea è diventata dominante e ha costruito lo stigma istituzionale, il pensiero che in diversi stati del mondo spinge milioni di persone nei tanti disumani manicomi e nelle periferie dell'esistenza.

Manifestazione Meeting Nazionale Anpis XX Edizione

I deboli sono indesiderati
Per gli architetti dell’umanità, chi non ha non è. Nella loro visione sociale, i poveri, i malati, gli anziani e i folli sono “vite non degne di essere vissute”. In questo scenario umano, non è opportuno ritornare al grande internamento della “classe pericolosa” e improduttiva nei grossi contenitori, chiamati “case lavoro”; non è conveniente isolare gli scarti

dell’esistenza nelle nuove città periferiche della follia, chiamati ancora manicomi; non è economico custodire e nascondere "chi non ha" in grandi istituzioni totali, definiti ospedali psichiatrici e residenze sanitarie assistite. Nel nuovo ordine sociale globale, gli ultimi, gli improduttivi, i pericolosi, i malati psichici, gli indigenti, gli anziani, gli esclusi hanno un costo economico da ridurre, contenere. Secoli fa, durante questa pandemia, statisti, medici e scienziati, senza alcuna vergogna, non hanno smesso di ripetere che le cure non erano rivolte e garantite agli “scarti” della società e tra questi "residui umani" , oltre agli anziani, ci sono gli individui della "classe pericolosa” e i tanti malati mentali, che continuano a non avere  accesso alle cure sanitarie, in diversi stati del Mondo. E’ risaputo, la storia della medicina non è una storia di guarigione collettiva, perciò  non riesce ad avviare un nuovo racconto di storia della salute mentale, psicologica e sociale al di fuori del mercato. Con questa pandemia  non è iniziata una nuova narrazione della scienza medica: è ancora quell’antica, divinatoria, di esclusione e di diritti negati. Lo psichiatra Benedetto Saraceno, in uno dei suoi lavori, intitolato “Un virus classista. Pandemia, disuguaglianze e istituzioni”, scrive: “…subito prima della pandemia, qualcuno pensò che la nozione di “sofferenza urbana” rappresentasse efficacemente il legame tra la dimensione privata del singolo e quella pubblica della città, ovvero dei contesti urbani ove le vite dei singoli si declinano e si incontrano: storie di tanti che fanno storia collettiva”. Una verità sociale, quella di Saraceno, che continua a parlare di incontri, di diseguaglianze, di storie umane, di esclusione sociale, economica e sanitaria, forti determinanti di un possibile e prossimo conflitto sociale. Dopo quarantatré anni  dalla cosiddetta “legge Basaglia”, scrivevo, la solitudine del malato mentale è più forte, seppure relegata nei territori, ancora privi della medicina di comunità. Secoli fa, ossia oggi, crescono le ragioni di un nuovo conflitto sociale.
La solitudine del malato mentale
Secoli fa, ossia prima della pandemia, la fiaccata voce dei familiari dei malati  faceva conoscere la difficile condizione dei poveri, dei sofferenti psichici e degli anziani. Nella loro solitudine, i malati mentali e i loro familiari parlavano delle grandi barriere poste alle cure mediche da un organizzazione sanitaria respingente. Anche se l’ospedale psichiatrico è stato soppresso, resta l’ingombro dell’agire biomedico e dell’intralcio ospedalocentrico: due ostacoli che impediscono la nascita della salute mentale comunitaria. Questi due ostacoli, durante la crisi pandemica, hanno provocato la solitudine del sofferente psichico, degli ultimi e ostacolato la cura sanitaria di tanti sofferenti psichici e anziani fragili, che continuano a essere ignorati, trascurati e, spesso, disprezzati e allontanati dai luoghi di cura. Le persone con disabilità psichiche, come gli anziani, restano esposte alla violazione del diritto ad essere curati e, spesso, assassinate dal disinteresse del sistema sanitario, che incardina la medicina e la cura sull’esclusione degli ultimi, degli scarti, di chi non ha voce e non ha potere. Durante la crisi pandemica, ossia oggi,  si è manifestata la scarsa tutela medica soprattutto dei sofferenti mentali. Costoro non sono giunti all’osservazione diagnostica  e al trattamento delle malattie somatiche, se non in fin di vita. Di questa grande omissione sanitaria,  nessuno parla. In questo tempo storico, i decessi delle persone con disturbi mentali sono, per la maggior parte, causati da una cultura medica, che non considera le malattie somatiche delle persone con disturbi mentali. Che si dica: la loro mortalità non è stata determinata dal disturbo mentale, bensì alla scarsa attenzione da parte del sistema sanitario verso le patologie somatiche delle persone con disturbi mentali.
I malati sono “incapaci” di decidere
Negare a un malato mentale o agli anziani le cure sanitarie non è solo un abuso giuridico, ma fisico e psicologico: un crimine contro l’umanità. Eppure, non c’è Stato che non voglia proteggere le persone con disabilità da “trattamenti crudeli, inumani, o degradanti”, assicurando  appropriate forme di assistenza. In questo difficile momento sociale e sanitario, l’assassinio, la strage delle persone fragili,  impone un nuovo impegno sociale e politico: l’esigenza di riaffermare i principi  della “moral case”. I principi della  “cura morale” considerano i  diritti di chi soffre di malattie mentali o del mal di vivere incardinati sull’idea che non c’è salute senza salute mentale e che qualunque intervento su una malattia somatica deve includere e tener in conto gli aspetti di salute mentale. Mobilitarsi per affermare la pratica della "cura morale" vuol ribadire che tutti devono poter avere accesso ai servizi e ai trattamenti sanitari, evitando, anche nell' emergenze pandemica, di escludere la popolazione più vulnerabile: i poveri, gli anziani e i sofferenti psichici. Tutto questo, malgrado le buone intenzioni, non è accaduto e non accade.
*Sociologo counselor professionale

13 settembre 2021

Gli equivoci del TSO nella cronaca di questi ultimi giorni

di Antonello d’Elia, Presidente di Psichiatria Democratica

Gentile Direttore, se ci facciamo caso, da qualche tempo il TSO è diventato il metro di misura della follia. Non più un provvedimento sanitario disposto dai medici che, ricordiamolo, devono essere due, chi propone e chi convalida ed entrambi del servizio pubblico, così come dispone la legge 180 che lo pone al centro del suo dispositivo insieme alla chiusura dei manicomi.
23 luglio 2021, da Quotidiano Sanità

Nel discorso pubblico attuale il Trattamento Sanitario Obbligatorio rimanda invece allo status di folle, anzi di matto nei confronti del quale non si può che allontanare, contenere, legare, isolare, ricoverare in modo coatto per sedarne le bizzarrie comportamentali e sopirne le manifestazioni di scompenso psichico. Nei giorni tra il 20 e i 22 luglio il TSO è comparso tre volte almeno sulla stampa in tre casi affatto diversi.
Nel primo, un emendamento al Recovery Fund lo trasforma di fatto in diagnosi medica prescrivendo che chi dovesse riceverne uno andrà segnalato all’autorità di polizia in quanto persona malata non adatta a possedere e usare un’arma. Come sappiamo si tratta di una disposizione che non avrà corso per la sua incoerenza con la legge dello stato che ne norma le condizioni ma ciò non toglie che qualcuno, nella posizione del deputato legislatore, ha ben pensato di difendere i possessori ‘sani’ di armi dai matti pericolosi che, come si sa, non pensano ad altro che ad acquistare e sparare al prossimo… E che a ispirare l’emendamento non siano ragioni che hanno a che fare con la medicina ma con l’uso delle armi non ci può consolare perché denota il livello di incompetenza e di rappresentatività interessata della nostra classe politica.

Trattamento Sanitario Obbligatorio

Nel secondo caso, un esponente della suddetta classe, un assessore al comune di Voghera, ha sparato a una persona per strada uccidendola. In questo caso un portatore ‘sano’ di armi, che, a quanto se ne sa, non ha mai ricevuto cure psichiatriche e che è un convinto detentore di pistole, ha ammazzato in

piazza un uomo che lo avrebbe importunato, esercitando così un suo diritto di vita e morte su un altro essere umano che, il caso vuole, fosse una persona sofferente di cui i parenti, sgomenti, raccontano che avesse problemi psichiatrici che l’avevano condotto a un ricovero in TSO. I familiari, attoniti, dichiarano che si trattava di una persona che andava curata e non uccisa, una cruda verità che, vista dalla parte politica a cui appartiene l’assessore assassino, è bellamente ignorata. Per uno dei paradossi dell’esistenza, mentre un deputato invoca il bando pubblico e la segnalazione all’autorità prefettizia e di polizia degli uomini e donne che ricevono un TSO per poter far circolare armi con maggior sicurezza per tutti, un assessore che l’arma la detiene e la usa, spara ammazzandolo un uomo che un TSO aveva ricevuto perché ammalato, sofferente e bisognoso di cure.
A concludere l’orribile sequenza ravvicinata di notizie, un paziente napoletano, ricoverato in TSO in un ospedale della sua città muore in circostanze ancora da chiarire nel luogo della cura per eccellenza, affidato al personale sanitario proprio per trattare gli aspetti acuti del suo malessere. In questo caso le cure erano somministrate, forse in eccesso se si trattava di soli farmaci e non di ascolto e accoglienza, eppure il regime di ricovero coatto non è servito a restituire la persona alla sua vita normale ma a segnare il contesto della sua morte.
Tre casi diversi dunque in cui il discorso sulle cure e la sofferenza mentale viene oscurato dalla cronaca, nera in due dei casi descritti, riportandoci tutti indietro nel tempo, esaltando gli aspetti sociali e non quelli personali della sofferenza mentale, allontanando da qualsiasi possibile comprensione o immedesimazione e trasformando un discorso sulla salute in una questione di ordine pubblico. Invocato, mancato o, nel caso napoletano, degenerato, il Trattamento Sanitario Obbligatorio occupa uno spazio mediatico che non corrisponde al suo reale utilizzo che non va oltre l’1% dei tanti casi che in un anno il sistema di salute mentale pubblica, pur in affanno come non mai, tratta con risultati clinici ed esistenziali di rilievo.
È tornato il tempo di riaprire un discorso pubblico e collettivo sulla salute mentale, sottrarlo all’incombente e sempre più esplicito ritorno alla pericolosità dei folli e porre i riflettori sulle distorsioni e gli abusi di cui anche la psichiatria si macchia nella sua versione sciatta e violenta. Non da meno ci tocca segnalare tutti quei casi e tutte le circostanze in cui per una improvvida sineddoche il TSO viene a sostituire un provvedimento sanitario con le motivazioni che lo determinano e a condensare in un acronimo lo status di malato psichiatrico e la sua sorte di escluso. Tutte le volte che al convincimento si sostituisce materialmente o simbolicamente l’imposizione violenta di un essere umano o dello stato sulla persona si creano le condizioni per un deficit di equità, giustizia e democrazia. Si pensi, in conclusione, a un altro caso esemplare che ha avuto ampia rappresentazione di stampa qualche mese fa, quello del liceale marchigiano a cui è stato effettuato un TSO perché in classe, in piena pandemia, rifiutava di indossare la mascherina. Un intero sistema fatto di istituzione scolastica, famiglia, forze dell’ordine, sanità, apparato giuridico dello stato e, non ultimo, apparato mediatico, va in cortocircuito nel momento in cui la scorciatoia del ricovero coatto obnubila tutti e di tutti assorbe le energie. Una lezione da meditare.

 

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