Problematiche sociali - Scelte di civiltà
- Smilitarizzare le menti per spegnere il conflitto in Ucraina
- Pratica e significati del digiuno di pace
- Guerra e Pace, ‘’che fare’’ Quando torna la storia? di Luca Paroldo Boni
- Il Mondo fra Pantedemia e Guerre
- Cosa possiamo fare noi per aiutare la pace? a cura del Movimento Nonviolento
- Storia di Civiltà e Sangue di Giuseppe Piemontese
- Il Potere delle Identità di Giuseppe Piemontese
- Le Sfide del Futuro di Giuseppe Piemontese
- Dal Falso Si al Falso Sé di 180 gradi - L'altra metà dell'informazione*
Smilitarizzare le menti per disarmare il conflitto. La prima cosa da fare contro la guerra in Ucraina
a cura di Pasquale Pugliese

Pasquale Pugliese
Pasquale Pugliese, nato a Tropea, vive e lavora a Reggio Emilia. Di formazione filosofica, si occupa di educazione, formazione e politiche giovanili. Impegnato per il disarmo, militare e culturale, è stato segretario nazionale del Movimento Nonviolento fino al 2019. Cura diversi blog ed è autore di “Introduzione alla filosofia della nonviolenza di Aldo Capitini” e "Disarmare il virus della violenza" (entrambi per le edizioni goWare, ordinabili in libreria oppure acquistabili sulle piattaforme on line)
Nessuna delle caste al potere voleva una grande guerra in Europa nel senso di perseguirla attivamente. Al contempo esse, sia pure con finalità e interessi diversi, neppure volevano rinunciare alla guerra, agli armamenti e alla politica delle minacce come mezzo della politica internazionale, per questo vi scivolarono dentro” [Ekkehart Krippendorf, Lo stato e la guerra. L’insensatezza delle politiche di potenza]
Se per comprendere le ragioni di un conflitto è necessario allargare lo sguardo, nello spazio e nel tempo , a maggior ragione quando il conflitto si trasforma colpevolmente in guerra aperta è necessario sottrarsi alla logica perversa dello scontro amico/nemico e assumere un punto di vista più generale e complesso, per cercarne le possibili vie d’uscita. A questo scopo, condannare l’aggressione militare di Vladimir Putin all’Ucraina è necessario, ma non sufficiente. E se a farlo sono quelli che hanno condotto occupazioni militari ventennali in Afghanistan ed Iraq (per tacere delle altre), provocando immani catastrofi umanitarie, non è neanche credibile: sono parte del problema, non della soluzione. Anziché inviare altre armi sul terreno di guerra, come stanno facendo i governi occidentali, bisogna uscire dalla logica bellica sulla quale si fondano tutte le politiche di potenza che hanno portato, come con-cause, a questa incredibile e anacronistica situazione ed entrare nelle ragioni profonde del conflitto, riconoscendo ragioni e torti dei diversi attori in campo, per trovare un punto di mediazione sostenibile per tutti. Sottrarsi alla logica dell’escalation, farsi “costruttori di ponti, saltatori di muri, esploratori di frontiera”, come scriveva Alex Langer, renitenti alla banalità del male della guerra che, ovunque, è già dentro la maggior parte delle menti consentendo agli arsenali di traboccare di armi, alle guerre di moltiplicarsi sul pianeta, ai profitti delle industrie degli armamenti di crescere senza fine. O smilitarizziamo le menti e impariamo a risolvere i conflitti senza violenza – con un lavoro paziente, costante e quotidiano – o la violenza della guerra distruggerà l’umanità, più prima che poi.

No guerre
Esito previsto della “seconda guerra fredda”
Poiché – come ribadisce il vecchio saggio Edgar Morin – “la condanna di Putin non deve impedirci di comprendere attraverso quali insiemi di interazioni e retroazioni siamo arrivati al grado di radicalizzazione che produce disastri”, andiamo a vedere qualcuna di queste interazioni e retroazioni, dando la parola ad alcuni di coloro che hanno studiato con attenzione l’assetto geopolitico dell’Europa dopo l’abbattimento del muro di Berlino.
Già nel 1997 il diplomatico USA George F. Kennan, profondo conoscitore dell’ex Unione Sovietica, si era espresso così sul New York Time: “L’allargamento della Nato è il più grave errore della politica americana dalla fine della guerra fredda. Si può prevedere che una simile decisione potrebbe infiammare le tendenze nazionaliste, antioccidentali e militariste nell’opinione pubblica russa, avere un effetto avverso sullo sviluppo della democrazia russa, ripristinare l’atmosfera della Guerra Fredda nelle relazioni Est-Ovest e spingere la politica estera russa in direzioni a noi decisamente sgradite”. E solo pochi giorni fa l’ex ambasciatore italiano alla Nato ed a Mosca, Sergio Romano, ha fatto le seguenti dichiarazioni in un’intervista a il fatto quotidiano (23 febbraio 2022): “A mio avviso, dopo la Guerra Fredda, l’Occidente avrebbe dovuto avviare la smobilitazione della Nato. Era una struttura nata al tempo della contrapposizione con il Patto di Varsavia. Collassato quest’ultimo non aveva senso tenere in piedi un assetto militare che sarebbe stato visto come struttura di pura aggressione”. Del resto già Johan Galtung – fondatore dell’International Peace Research, di Transcend, network per la pace e lo sviluppo, e consulente per anni dell’ONU – aveva avvertivo che la “seconda Guerra Fredda tra USA/NATO/AMPO (l’accordo militare tra USA e Giappone) e Russia/India/Cina non durerà a lungo”, che “una nazione globale con interessi globali (USA) ha le sue ragioni per portare le alleanze a linee di rottura radicali ed esplosive, per esempio tra cattolici/protestanti e slavi/ortodossi” e che “un incidente minore lungo il confine tra Polonia e Ucraina e queste faglie erutteranno lava come vulcani, con potenze nucleari dappertutto e senza alcun paese neutrale in mezzo a fare da cuscinetto, come furono Finlandia, Svezia, Austria e Jugoslavia durante la prima Guerra Fredda. Un’Eurasia dominata dagli USA è un’ipotesi folle: avere il mondo intero come propria sfera d’interesse può essere definito come megalomania” (Affrontare il conflitto. Trascendere e trasformare, 2008).
Storia contro-fattuale e storia reale
Del resto con un esercizio di storia contro-fattuale non è difficile immaginare che cosa accadrebbe a parti invertite: ossia se una potenza militare nucleare, come la Cina o la stessa Russia, stringessero un’alleanza strategica con il Canada o il Messico, capace di portare la minaccia nucleare ai confini degli Stati Uniti.
In realtà non è strettamente necessario questo esercizio di fantasia, visto che nel 1962 si sfiorò davvero una guerra nucleare – a posizionamenti contrapposti – perché, dopo il fallito tentativo della CIA di far cadere la rivoluzione cubana di Fidel Castro e Che Guevara con il tentativo di invasione della cosiddetta “Baia dei porci”, l’Unione Sovietica aveva dispiegato alcuni missili nucleari a Cuba, a 90 miglia della coste della Florida, anche in risposta a quelle statunitensi dispiegate in Turchia, Italia e Gran Bretagna, e gli USA minacciarono la guerra se non fossero state rimosse.
L’arte della diplomazia che seppero mettere allora in campo i presidenti Kennedy e Nikita Sergeevic Chrušcëv, con la mediazione di papa Giovanni XXIII, portarono invece allo smantellamento dei missili sovietici a Cuba, all’impegno USA di non invadere l’isola e allo smantellamento di quei missili statunitensi in Europa.
Non finirono invece le ingerenze USA in quell’America Latina che considerano – da sempre e per sempre – non solo la loro “sfera d’influenza”, ma un vero e proprio “cortile di casa”: dal supporto della CIA al colpo di stato in Cile contro il governo socialista di Salvador Allende al sostegno economico alla “contra” nella rivoluzione in Nicaragua, dalle armi agli squadroni della morte in Salvador e nel Guatemala alle molte altre ingerenze storicamente documentate (vedi, per esempio, Noam Chomsky, Anno 501, la conquista continua, 1993; Daniele Ganser, Breve storia dell’impero americano, 2021).
Una guerra iniziata nel 2014
Inoltre, gli stessi mezzi di informazione che ci comunicano, momento per momento, l’evoluzione della guerra dopo l’aggressione russa all’Ucraina, si era dimenticati di raccontarci in questi anni che la guerra era già in corso nell’Ucraina dell’est, dove la maggioranza russofona della regione del Donbass – con le auto-proclamate repubbliche indipendenti di Doneck e Lugansk, oggi riconosciute unilateralmente da Mosca – voleva l’autonomia fin dal 2014 dal resto del paese, dopo la rivoluzione (o il colpo di stato?) filo-occidentale, contro la volontà del governo centrale il quale non ha mai messo in pratica i cosiddetti “protocolli di Minsk” 1 e 2, che prevedono l’autonomia a statuto speciale di quelle provincie, ma – al contrario – si è servito di milizie neoaziste per reprimerne l’insubordinazione. Una guerra cosiddetta “a bassa intensità”, ma che aveva fatto già 14.000 vittime e decine di migliaia profughi accolti dalla Russia. Del resto, la stessa Europa che non ha fatto niente per agevolare una composizione pacifica del conflitto in Ucraina (ma ha venduto armi sia all’Ucraina che alla Russia) – solo trent’anni fa – riconoscendo immediatamente l’autoproclamata indipendenza della Croazia dalla Federazione Jugoslava – aveva agevolato la rinascita dei nazionalismi europei e la decennale guerra fratricida che ne scaturì nei Balcani, aprendo la stura ai fascismi contrapposti, fino al bombardamento di USA e alleati (governo D’Alema in Italia) sulla Serbia, anche perché questa non voleva riconoscere l’analogo indipendentismo nazionalista albanese della regione del Kosovo. Quando si dice “due pesi e due misure”…
L’Ucraina come pedina
Quindi, per riassumere, la situazione è quella descritta efficacemente d Ray Acheson scrittrice e attivista statunitense della Women’s International League for Peace and Freedom, nell’intervista a Altreconomia: “Dietro la crisi attuale c’è una storia di violenza militarizzata ed economica. La Russia e gli Stati Uniti hanno un approccio imperialista al di fuori dei propri confini interferendo, attraverso azioni militari ed economiche, in Paesi che ritengono essere all’interno delle loro “sfere di influenza”. Entrambi usano il militarismo, l’aggressione e i legami economici forzati per guidare la loro condotta nelle relazioni internazionali, ed entrambi affrontano l’ineguaglianza interna, la povertà e la resistenza attraverso azioni di polizia e punizione.
I governi di entrambi i Paesi si criticano a vicenda per lo stesso tipo di comportamento: la Russia critica l’imperialismo statunitense, eppure invade e occupa i suoi vicini, bombarda i civili e si impegna in attacchi informatici contro infrastrutture critiche che danneggiano le persone comuni. Gli Stati Uniti criticano la Russia come un’autocrazia, ma negli ultimi decenni hanno rovesciato governi democraticamente eletti se solo minacciavano gli interessi degli Stati Uniti, costruiscono basi e si impegnano in guerre e operazioni militari in centinaia di Paesi in tutto il mondo, e investono miliardi di dollari in spese militari mentre molti dei cittadini statunitensi vivono senza assistenza sanitaria, alloggi o sicurezza alimentare. Entrambi i Paesi hanno rinforzato eserciti, alleanze militari e arsenali nucleari per sfidare l’altro.
L’Ucraina, in questo contesto, è una pedina utilizzata da entrambe le parti”.
A questo punto, che fare?
Arrivati a questo punto, con l’Europa tornata – suo malgrado, non avendo una politica comune autonoma dalla Nato – teatro di guerra al centro di politiche di potenza contrapposte, che cosa c’è da fare? Di sicuro non aggiungere armi su armi, come i paesi della Nato hanno scelto sciaguratamente di fare, inviandone ancora all’Ucraina.
Dopodiché, come singoli, nell’immediato, possiamo supportare gli obiettori di coscienza russi al servizio militare che chiedono ai soldati russi di “non partecipare alle ostilità, non divenire criminali di guerra e di rifiutare il servizio militare” e, contemporaneamente, supportare i pacifisti ucraini che chiedono ancora, ripetutamente, “alle leadership di entrambi gli stati e alle forze militari di fare un passo indietro e sedere al tavolo delle negoziazioni”, che ribadiscono che “la pace in Ucraina e nel mondo può essere ottenuta solo in modo nonviolento, che la guerra è un crimine contro l’umanità” e che sono “determinati a non supportare nessun tipo di guerra sforzandosi per l’eliminazione di tutte le cause di guerra”, diffondendo la loro voce, anziché quella di chi soffia – da un lato e dall’altro – sul fuoco della guerra. Come organizzazioni, chiedere, insieme aRete Italiana Pace e Disarmo al governo italiano ed all’Unione europea di “prodigarsi per una cessazione degli scontri con tutti i mezzi della diplomazia e della pressione internazionale, con principi di neutralità attiva ed evitando qualsiasi pensiero di avventure militari insensate; chiedere alla Russia il ritiro delle proprie forze militari da tutto il territorio ucraino e la revoca immediata del riconoscimento dell’indipendenza delle Repubbliche del Donbass; attivarsi per garantire un passaggio sicuro alle agenzie internazionali e alle organizzazioni non governative al fine di garantire assistenza umanitaria alla popolazione coinvolta dal conflitto; chiedere il riconoscimento da parte dell’Ucraina dell’autonomia del Donbass prevista dagli accordi di Minsk ma mai attuata, il rispetto della popolazione russofona, la cessazione dei bombardamenti in Donbass, lo scioglimento delle milizie di matrice nazista; una volta arrivati al cessate il fuoco prodigarsi per una conseguente de-escalation della crisi nel pieno rispetto del diritto internazionale, affidando alle Nazioni Unite il compito di gestire e risolvere i conflitti tra Stati con gli strumenti della diplomazia, del dialogo, della cooperazione, del diritto internazionale; cessare qualsiasi tipo di ingerenza indebita nella vita interna dell’Ucraina; favorire l’avvio di trattative per un sistema di reciproca sicurezza che garantisca sia l’UE che la Federazione Russa”.
La guerra chiede il conto: prima, dov’erano tutti?
Le cose da fare sono tante, dunque, ma non bastano ancora, perché non è sufficiente attivarsi per la pace quando cadono le bombe.
Quel che mi colpisce di più leggendo commenti ed editoriali di intellettuali, scrittori e commentatori (al netto degli immancabili con l’elmetto in testa permanente) è l’incredulità, lo smarrimento e lo spaesamento rispetto al ritorno della guerra vera, non lontana e digitale, ma analogica e vicina, anche nel cuore dell’Europa, con tutte le imprevedibili conseguenze che può portare con se. E allora mi domando dov’erano tutti mentre, per esempio, il Bollettino degli scienziati atomici da tre anni, consecutivamente, ci ricorda che siamo a soli 100 secondi dall’apocalisse nucleare? Dov’erano tutti mentre la Campagna per la proibizione delle armi nucleari (che ha vinto anche il Nobel per la pace) cercava di fare sottoscrivere il Trattato approvato all’ONU da tutte le potenze nucleari? Dov’erano tutti mentre gli scienziati premi Nobel di tutto il mondo, ancora poche settimane fa, hanno chiesto di ridurre almeno del 2% le spese militari globali, raddoppiate negli ultimi vent’anni, dall’Afghanistan in avanti? Dov’erano tutti mentre si ammodernavano gli arsenali con le almeno 13.000 testate nucleari di ultimissima generazione puntate contro le teste di tutti e aumentavano incredibilmente le spese militari mondiali che hanno raggiunto – in piena pandemia – la cifra record di 2000 miliardi di dollari, sottratti, per esempio, alla sanità e all’istruzione? Dov’erano tutti mentre le campagne per il disarmo e la nonviolenza, nazionali e internazionali, denunciavano tutto questo, dimostrandone l’insensatezza (come facevo, nel mio piccolo, anche in Disarmare il virus della violenza)? Se vuoi la pace, prepara la pace, insegnava Aldo Capitini, invece abbiamo lasciato che – nel silenzio e nell’indifferenza – si preparassero a tutte le latitudini politiche di potenza fondate sulla violenza delle armi. Il tema del disarmo è stato rimosso dall’agenda della cultura, della politica, dell’informazione. Ed oggi, che la guerra chiede il conto, siamo increduli, smarriti, spaesati e non capiamo come questo sia di nuovo possibile.
Dunque, per essere realisti
Dunque, per essere realisti, o ci decidiamo a smilitarizzare le menti, disarmare gli arsenali a cominciare da quelli nucleari, a dismettere le politiche di potenze e ad archiviare la guerra e fare – finalmente e definitivamente – un salto di civiltà, imparando a risolvere i conflitti con la nonviolenza, oppure la guerra archivierà l’umanità. Tertium non datur
Pratica e significati del digiuno di pace
di Gabriella Falcicchio, da Azione Nonviolenta
La pratica del digiuno è antichissima ed è imparentata con l’ascesi. Nasce e rimane connessa con la ricerca spirituale, con la liberazione dalle pulsioni del corpo per offrire spazio e leggerezza all’anima.
Indipendentemente dal credo di ciascuno e anche dalla storia plurimillenaria di questa pratica, il digiuno non cessa nella contemporaneità di essere praticato in momenti particolarmente salienti della lotta per i diritti. Se Gandhi è il primo a unire digiuno e azione nonviolenta, in Italia, tra i profeti di nonviolenza, Danilo Dolci non è l’unico ma è certamente il più noto per i digiuni, anche molto lunghi, con cui ha accompagnato la pacifica e costruttiva ribellione alle penose condizioni di vita e di lavoro in Sicilia.
Nella politica più recente, tutti ricordiamo gli scioperi della fame di Marco Pannella. In un’epoca in cui si afferma il potere mediatico, il digiuno, condotto talora fino a un pericoloso deperimento, accende un faro sulle condizioni che si chiede di cambiare e che, fino a quel momento, chi ha il potere di intervenire ha ignorato. Rappresenta cioè una forma di “drammatizzazione” del conflitto tenuto per marginale e reso invisibile dalla noncuranza, un modo per metterlo sulla scena sociale e politica facendolo uscire dalle quinte.

Ghandi
È facile che si venga irrisi per un digiuno contro la guerra: a cosa serve? Non può certo fermare i carri armati!
Innanzitutto il digiuno “serve”, se proprio vogliamo scomodare la categoria dell’utilità, a radicare la persuasione nonviolenta, direbbe Aldo Capitini.
Ha prima di ogni altra cosa la funzione di aprire uno spazio di riflessione e di approfondimento personale rispetto al valore della nonviolenza.
Ore di raccoglimento in cui ci si fa presenza a sé stessi, per ribadire che sì, la pace è l’unica via e la nonviolenza parte sempre da sé. In una società costruita su ritmi accelerati, digiunare è rallentare e in quel rallentamento, respirare, meditare, pregare, tornare sul proprio asse interiore. Risponde al lentius e al profundius langeriano.
Il digiuno permette di percepirci deboli, ecco un’altra sua peculiarità. Il corpo avvezzo al cibo deve cimentarsi con la mancanza, con l’assenza, con il vuoto di materia e, con l’andare delle ore e dei giorni, di energia.
Ci si apre a una sofferenza (per un giorno piuttosto lieve, peraltro) che, diceva Gandhi e ribadiva Capitini nelle Tecniche della nonviolenza, funge da addestramento al sacrificio, da preparazione a una sofferenza maggiore che si potrebbe dover esperire nella lotta nonviolenta.
Un addestramento, come è chiaro, che non punta alla forza fisica come per i soldati armati, ma alla forza interiore, a quel “radicamento solido nella verità” espresso dal neologismo gandhiano satyagraha, ma che trova anche nell’evangelico “nella tua debolezza è la tua forza” un richiamo potente.
Quella debolezza per don Tonino Bello diventa l’onnidebolezza del Dio che si fa neonato nelle braccia di una donna, in contrapposizione all’onnipotenza del Dio “istituzionale”, del Dio degli eserciti del Vecchio Testamento. Scegliere la debolezza attraverso il digiuno è cioè una forma di disarmo e si apre alla gentilezza partendo dal corpo. Ci riporta al suavius di Alex.
Ma un ulteriore spazio si apre dentro, quello della coscienza della sofferenza altrui, alla quale si connette sempre la scelta del digiuno. Provare nel proprio corpo la carenza costruisce un ponte invisibile, ma molto solido, con i patimenti degli altri, di tutti gli altri e di vivere in prima persona, concretamente, la solidarietà. Non si può solidarizzare con i poveri, i perseguitati, i profughi che ogni guerra produce con la pancia piena, le tavole imbandite, la mente rimpinzata di banalità.
Ci sarà poi il momento della festa, ci auguriamo: ora è il tempo della sobrietà e del silenzio generativi di fratellanza.
In questo senso il digiuno ha il potere di introdurre una cesura nell’abituale e abitudinario ritmo della quotidianità, una epoché, ovvero una sospensione dal tramestio dei giorni. Oggi la pausa dal cibo ha anche un valore ulteriore: nonostante la povertà materiale non sia affatto scomparsa, in media non conosciamo la miseria, il morso e la morsa della fame.
Nell’epoca dello spreco, degli ipermercati traboccanti, delle malattie da opulenza, il digiuno mette davanti alla domanda sui nostri stili di vita e su quanto e al prezzo di quante vite l’abbondanza sulle nostre tavole, nei nostri frigoriferi, sui fornelli venga pagata. E così gli impianti domestici di condizionamento, i dispositivi costantemente attaccati alla presa elettrica, il web e i social onnivori di energia.
Con la domanda energetica in perenne crescita, questa guerra ci dovrebbe indurre domande precise su quanto è giusto – per le popolazioni oppresse, per il Pianeta e gli altri esseri viventi, per la nostra stessa salute – macinare le risorse con questa fame implacabile e distruttiva.
Ecco, il digiuno riporta alla nostra capacità di abbassare i livelli di consumo, ci dice che siamo capaci di non mangiare per un giorno e, con ogni probabilità, di mangiare di meno ogni giorno, di consumare di meno, di impossessarci di meno, di sottrarre di meno a tutti gli altri. E lancia un messaggio ai politici, ai potenti che le guerre le allestiscono per garantire anche a noi livelli di benessere ormai insostenibili e rinvigorire i mercati finanziari: possiamo prendere coscienza che non abbiamo bisogno di tutto questo, ma potremmo accontentarci di molto meno, vivendo tutti in pace.
GUERRA E PACE, ‘’CHE FARE’’ QUANDO TORNA LA STORIA?
di Luca PAROLDO BONI
CRONOLOGIA DI UN DISASTRO (ANNUNCIATO): La Nato è un’organizzazione militare, non di beneficenza, improntata a una logica di guerra.
1945: la Carta delle Nazioni Unite proclama il principio della risoluzione pacifica dei conflitti internazionali, ma nel 1949 nasce la Nato, con 12 paesi firmatari, tra cui gli Usa e l’Italia; con l’ammissione di Grecia (1952), Turchia (1952), Germania Ovest (1955) diventano 15.
Da chi dovevano difendersi?
L’Urss risponde, col Patto di Varsavia, ma nel 1955.
Facciamo un balzo in avanti; nella riunione a Bonn del 6 marzo 1991 i rappresentanti di Usa, Rft, Francia e Gran Bretagna sottoscrivono l’impegno della Nato di non espandersi ‘’di un centimetro a Est’’.
1999: Ungheria, Repubblica cecoslovacca e Polonia, confinante con la Russia, entrano nella Nato, la quale, nello stesso anno, indice una ‘’guerra umanitaria’’ in Jugoslavia, bombardando per 78 giorni Belgrado, ridisegnando la geografia politica della regione.
Per il neopremier Putin, ex capo del Kgb, è un pessimo segnale: la fragile Federazione russa potrebbe fare la stessa fine.

SPIEGAZIONE FOTO
Perciò nel 2000, in un incontro con George Robertson, allora segretario generale, chiede, inascoltato, l’ingresso nell’Alleanza atlantica, per sfuggire all’accerchiamento.
2004: adesione alla Nato di altri 7 nuovi paesi est-europei, Slovacchia, Slovenia, Romania, Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania (le ultime due confinanti con la Russia), con successiva installazione di basi missilistiche nucleari puntate su Mosca.
Nel 2006 entrano Albania e Croazia, nel 2017 Montenegro e Macedonia del Nord, ultimo effetto della Serbia disgregata a suon di bombe.
Oggi la Nato è composta di 30 Paesi membri. Il 31o si accingeva a essere l’Ucraina: nel 2021 aveva ottenuto dal Memberschip Action Plan lo stato di pre-adesione, approvato dal Parlamento di Kiev nel gennaio 2022.
Nel corso di questi 23 anni, Putin agisce e reagisce con una logica di guerra contrapposta che ridisegna la mappa geopolitica, allargandone i confini, nel quadro di un progetto neoimperiale.
1999-2006: mentre la Nato smembra la Jugoslavia, e si allarga a Est, Putin attacca e annette la Cecenia, ex repubblica sovietica, a conclusione di un lungo e sanguinoso conflitto tra russi e separatisti islamisti anti-russi.
2008: dopo l’ingresso nella Nato dei 7 paesi est-europei ed ex-sovietici, e di Albania e Croazia, Putin aggredisce la Georgia già sovietica, annettendosi le due regioni separatiste pro-russe, l’Ossezia del Nord e l’Abcasia.
2014: la Crimea, ex repubblica sovietica e regione dell’Ucraina a maggioranza russofona, viene invasa dalla Russia a seguito di un pretestuoso ed illegale referendum popolare.
2014-2015: colpo di Stato (antirusso) e fuga a Mosca del presidente Yanucovych. Con gli accordi di Minsk II dovrebbe cessare la feroce guerra in atto tra i separatisti russofoni del Donbass e i nazionalisti ucraini antirussi, professanti l’ideologia neonazista del criminale di guerra Stepan Bandera. Nessuno rispetta gli accordi e la guerra imperversa, invisibile e spietata finché nel 2022 non si trasforma nella guerra d’aggressione della Russia contro l’Ucraina.
COSA FARE IN TEMPO DI GUERRA: Putin vuole realizzare il nuovo impero russo: non solo annettere tutti i territori dove vi siano settori della popolazione russofoni, ma imporre in tutta la corona dei Paesi limitrofi governi che almeno in politica estera si pieghino ai suoi diktat. In questo senso è necessario fermare subito, fino a che si è in tempo, la sua demenza geopolitica, facendo del rovesciamento del suo regime, e del sostegno alle forze democratiche che lo combattono un obiettivo strategico irrinunciabile.
La decisione da parte della Ue di fornire armi alla resistenza ucraina è da salutare come una svolta positiva importante perché stabilisce il principio che si possono prendere decisioni anche militari prescindendo dalla Nato, che si muove solo secondo le volontà americane, così come il congelamento delle smisurate ricchezze degli oligarchi potrebbe spingerne una parte a entrare in rotta di collisione con Putin.
Ma in questo modo si alimenta ‘’l’escalation’’, dirà qualche anima bella. Fin qui Putin ha proceduto nell’escalation con le scarpe chiodate proprio perché NON sono state prese con immediatezza tutte le misure che potevano indebolirlo tra le quali quella di estromettere le banche russe dalla Swift per tempo, decisioni che avrebbero potuto perfino impedire a Putin l’intervento. In ogni caso il prezzo sarà alto, per le nostre economie, e i governi dovranno evitare che a pagarlo sia chi già è sommerso economicamente.
L’Ucraina di oggi non è la Spagna repubblicana del ’36. A Kiev ci sono anche nazionalisti di destra, assai poco ferrati in tema di democrazia. Ma di queste destre ce ne sono purtroppo anche in Italia, in Francia, in Spagna, e negli Stati Uniti, e se si continua a traccheggiare, torneranno alla presidenza tra meno di tre anni col putiniano Trump. A sinistra (esiste solo nella società civile, ormai) non sostenere senza mezzi termini la causa della libertà e indipendenza ucraina, significherebbe un passo ulteriore verso l’autodissoluzione.
Perché si pecca con eguale colpa e peso per atto e per omissione, ed oltre un certo limite, può essere impossibile rimanere coerenti con la pace: la guerra di liberazione partigiana ne è un esempio.
Perché l’Italia ripudia la guerra, articolo 11 della Costituzione, ma ‘’come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali’’, e qui non c’è nessuna controversia internazionale. Un’aggressione è enormemente diversa da una controversia, detto senza reticenze, ipocriti distinguo, contorsioni ideologiche.
Per chi vuole la pace è davvero indifferente che l’Ucraina venga schiacciata o che Putin sia costretto a ritirarsi? L’intelligenza è la capacità di distinzione.
Proviamo a chiederci cosa un democratico di Kiev, di Kharkiv, di Mariupol chiederebbe a noi europei. Davvero chiederebbe mezzi di difesa e non di offesa, ammonendoci che “sarebbe invece un grave azzardo mandare armi vere e proprie”? Davvero accetterebbe qualche giubbetto antiproiettile, ma rifiuterebbe i missili anti-aerei Stinger, davvero contro i tank di Putin gli ucraini anelano fare da soli, fabbricando insieme a donne e ragazzi le molotov che poi lanceranno da pochi metri di distanza?
Non sembra davvero il momento del Gesù del porgere l’altra guancia; il profeta ebreo apocalittico itinerante pronuncia quelle parole pensando che il suo ultimo viaggio dalla Galilea a Gerusalemme, dove viene dai suoi seguaci accolto come l’Unto del Signore, sarebbe coinciso con la fine del mondo. Quella guancia, questione di ore, sarebbe stata più che premiata.
Per i più politicizzati invece le sanzioni sono invocate solo da chi vuole favorire una frazione della borghesia internazionale contro l’altra. Può essere. Ma è davvero equivalente vivere sotto il “tallone” di Draghi (dittatura sanitaria, ci hanno spiegato i deteriori Agamben, Cacciari e Mattei) o sotto quello di Putin, con carcere, tortura, assassinio di giornalisti e oppositori ? Più in generale, è ammissibile la cecità che non distingue i diversi tipi di sfruttamento capitalistico, se spreme profitto con i bambini delle miniere di metalli a cielo aperto in Bolivia e Perù, o nelle isole di montaggio automobilistiche del welfare svedese?
Alla fine, in ogni caso le truppe russe dovranno ritirarsi. Occupare e sottomettere un territorio vasto e popoloso quanto l’Ucraina richiede uno sforzo militare insopportabile. Rimarrebbe di tentare di risolvere col dialogo, magari finlandizzando o elvetizzando l’Ucraina, garantendone l’indipendenza e la piena sovranità, ma demilitarizzandola, facendone uno «Stato-cuscinetto» tra Russia e Nato. Assegnare torti e ragioni, per le cause pregresse, a guerra in atto, è mero esercizio accademico e , nonostante tutto, per esorcizzare l’ulteriore escalation bellica, il tavolo della pace resta l’unica possibilità.
COSA FARE IN TEMPO DI PACE: Se l’Ue si identifica con la Nato, si identifica con la sua logica di guerra.
Il pensiero critico che in Occidente resiste deve criticare innanzitutto la sua stessa parte: quella che può riuscire a cambiare, comprendendo la difficoltà di una opinione pubblica russa tenuta in ostaggio dalla censura e dal controllo dei media.
Si deve contestare tutta la guerra, e la sua genesi senza per questo smettere di distinguere tra vittime e carnefici.
Oggi, ai pacifisti si chiede con disprezzo: ‘’voi cosa fareste? Lascereste fare i russi?’’. Invece è sempre stato chiaro, a chi lo avesse voluto sapere, cosa i pacifisti pensassero di Putin e della sua politica interna ed estera; della politica di potenza della Nato; della non-politica della Unione Europea; della guerra che insanguina l’Ucraina dal 2014, con 14.000 morti e con accertate violazioni dei diritti umani da entrambe le parti; delle spese militari e del potere, nelle democrazie occidentali, dell’apparato militare-industriale.
Ripudiare la guerra significa lavorare per non crearne le premesse, per allontanarla, per eliminare le possibilità che si verifichi. Dal 1989, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno dato per scontato che la partita fosse stata vinta, e che solo una potenza mondiale sarebbe rimasta: ma era un’illusione, un grave errore di comprensione del mondo e della storia, un ultimo, fatale, imperialismo.
Dalle nostre parti, ci siamo mai collettivamente interrogati sulle conseguenze dell’espansionismo NATO a est? Possiamo dire che in Occidente vi sia stato un aperto dibattito sull’ipotesi che, dopo l’annessione delle repubbliche baltiche, la NATO arrivasse anche più a sud, a lambire gli altri confini della Russia, col rischio di scatenare una reazione di quest’ultima?
La Nato si è espansa molto più di quanto si fosse garantito di voler fare anche se è vero che i popoli vicini alla Russia hanno tutto il diritto di tutelarsi da vicini pericolosi.
Gli ucraini hanno diritto di decidere la propria linea di politica estera. Ma come accade in altre terre di confine, la democrazia ucraina è lacerata da anni intorno alla questione del posizionamento strategico della nazione. Janukovyc aveva una visione, Zelenskyj esprime una posizione opposta.
Il conflitto è così violento da avere avvelenato le stesse istituzioni democratiche, con denunce sistematiche di brogli elettorali e di interferenze straniere dall’una e dall’altra parte. Quasi sempre, chi parla di “pazzi al potere” pretende di dire la propria senza aver capito nulla. Chiavi di lettura così infantili non servono a niente.
Se restiamo fermi alla categoria infantile dei “pazzi al potere”, allora assieme a Putin dovremmo aggiungere alla lista dei anche Clinton, Bush Jr., e la massa di responsabili politici delle liberal-democrazie che hanno allegramente avallato l’espansione militare NATO fino ai confini russi, sotto la spinta degli oligarchi occidentali impazienti di fare nuovi affari in quelle zone. La lista dei “pazzi” si allungherebbe un po’ troppo per avere un minimo di efficacia euristica.
Il punto è che la storia del capitalismo è determinata da forze oggettive frutto di complesse combinazioni di decisioni multiple. Sotto questa visione, Putin non è pazzo: è il pezzo vivente di un’equazione del capitalismo oligarchico russo, da anni in contraddizione con le equazioni che esprimono le oligarchie capitalistiche occidentali.
Dunque, la pazzia si insinua certamente nell’inviluppo della storia, ma come fatto totale, come “fallimento di sistema”. Si potrebbe chiedere pubblicamente all’alleanza atlantica di sottoscrivere che non approverà più ulteriori annessioni nella NATO, né dell’Ucraina né di altri paesi confinanti e proporre alla UE una totale inversione di marcia: chiudere la stagione fallimentare degli allargamenti a est. Se Draghi e gli altri si muovessero in questa direzione, sarebbe un sussulto di razionalità collettiva contro la follia imperialista che fino a oggi ha dominato i due campi in lotta per oggi e soprattutto per il futuro ponendo fine all’ultimo stadio delle tendenze del capitalismo oligarchico, che rende la mentalità dei banchieri sempre più simile a quella dei soldati.
Il liberalismo moderno insegna che viviamo in un mondo in cui ognuno avendo cura di sé contribuisce al benessere di tutti. Sarebbe il momento di prenderlo in parola e che le classi popolari perseguano anzitutto i propri interessi alla pace, alla sicurezza e alla prosperità, sviluppandoli nel quadro di una potente solidarietà internazionalistica.
IL MONDO FRA PANDEMIA E GUERRE
di Giuseppe Piemontese
In questo inizio del Ventunesimo secolo stiamo assistendo a due gravi fenomeni: la pandemia da virus Covid-19 e lo scoppio della guerra fra Russia e Ucraina.
Fenomeni che chiamano direttamente come responsabile l’uomo in quanto artefice, da una parte del progressivo inquinamento atmosferico e nello stesso tempo della graduale distruzione dell’ecosistema, come per esempio la deforestazione amazzonica e dall’altra parte ad una persistente conflittualità fra diversi popoli, costretti a subire i vari sistemi politici fondati più che sul dialogo, quanto sulla forza e sulla prevaricazione dei diritti portati avanti attraverso il dispiegamento delle forze militari, come nel caso dello scoppio della guerra in Ucraina, dove la Russia è intervenuta per risolvere problemi di confini e di territori filorussi. Mentre la pandemia si sta gradualmente risolvendo con l’uso massiccio dei vaccini, la guerra fra Russia e Ucraina sta provocando diverse migliaia di morti in diverse città dell’Ucraina, fra cui la capitale Kiev.
Purtroppo gli ammonimenti e i tragici eventi delle due guerre mondiali oggi non hanno alcuna risonanza politica, in quanto ancora una volta la ragione politica sta prendendo il sopravvento sulla ragione morale ed etica, tanto d ricorrere ancora una volta alle armi quale mezzo di persuasione e di monito. E tutto questo nel cuore dell’Europa, in un ambito geopolitico, che vede contrapposti, come nel passato, diversi blocchi di sistemi politici, l’uno contro l’altro, da una parte il mondo occidentale e dall’altra parte il mondo orientale, includendo in questo’ultimo blocco la Russia e la Cina. Per questo la situazione mondiale è in balia di questi due sistemi, contrapposti, tanto da provocare nel mondo in qualsiasi momento guerre e crisi a livello geopolitico, con conseguenze sul piano sociale, economico e culturale. Del resto, prima che scoppiasse la guerra fra la Russia e l’Ucraina, noi abbiamo in corso diversi altri fronti di guerra aperti, fra cui quello nello Yemen, in Siria, in Etiopia, in Iraq, in Afghanistan, per non parlare poi dei problemi geopolitici a livello internazionale fra la Cina e Taiwan, in Africa centro-settentrionale, con vari paesi in lotta fra cui il Mali, il Niger, la Nigeria, il Ciad, il Sudan e poi la divisione territoriale e geopolitica fra la Corea del Nord e la Corea del Sud.

Geografia delle guerre e rivoluzioni
Situazioni molto gravi che determinano una continua instabilità politica del mondo, con ripercussioni sul piano sociale, economico e culturale a livello globale, con gravi crisi a livello comunitario, con gente costretta a vivere in situazioni precarie dove la vita delle popolazioni diventa di giorno in giorno sempre più difficile, con mancanza di cibo e di sicurezza personale.
Purtroppo quello che sta succedendo in Ucraina è molto grave, in quanto una nazione nucleare come la Russia non accetta di vedere ai propri confini una Ucraina che si allea con il mondo occidentale e, quindi, con i Paesi europei e l’America, uniti nell’ambito del sistema Nato.
Per questo la Russia è contraria che l’Ucraina entri nella Nato, che è il sistema militare dell’Occidente, quindi, una spina nel fianco della Russia, governata da un sistema oligarchico, dove il potere decisionale è in mano ad una sola persona, come Putin e, quindi, privo di democrazia nel suo interno. Tutto questo porta verso una intransigenza sistemica che ha fatto sì che la Russia invadesse l’Ucraina e dichiarasse guerra all’indipendenza di uno Stato sovrano come è quello dell’Ucraina.
In questo momento la situazione è molto grave in quanto a subirne le conseguenze sono purtroppo le persone che vivono nelle grandi città come Kiev e Kharkiv, città dove vi sono milioni di individui. La popolazione ucraina è scesa in piazza, per le strade, per fermare l’avanzata russa, a costo di migliaia di morti. Mentre i paesi europei inviano in Ucraina armi e denaro per armare la gente e creare, quindi, una resistenza patriottica della regione.
Purtroppo stiamo vivendo ancora in un mondo costruito su sistemi contrapposti, tanto da creare conflitti permanenti e divergenze, tali da compromettere la stabilità politica e d economica dei Paesi interessati. Si calcola che nel mondo vi siano in corso più di 27 conflitti, sparsi in ogni angolo del pianeta. Nel Sud Sudan si combatte una guerra dimenticata da diversi anni, con una crisi economica e sociale spaventosa che colpisce maggiormente i bambini. Inoltre ad aggravare la situazione vi sono le varie inondazioni, che producono carestie e miserie. Così come grave è la situazione in Etiopia, dove, a causa delle varie divisioni etniche, vi è una conflittualità perenne, con morti e distruzioni di interi villaggi. Un paese fra i più popolosi dell’Africa, dove si sta consumando una delle più gravi crisi umanitarie degli ultimi tempi. È un conflitto durissimo che troviamo specialmente nel nord del Paese e precisamente nel Tigray, per espandersi poi gradualmente nelle altre regioni di Amhara e Afar, fino alle porte di Addis Abeba. Gente, più di 9 milioni di persone, che hanno bisogno di assistenza alimentare, con 2 milioni di sfollati, in condizioni misere, senza che le organizzazioni umanitarie possano intervenire. Nel Mali e nel Sahel la situazione è pessima, in balia dei francesi e dei russi, costretti a vedersela ora con i quaedisti del Jnim, ora con i rivali dello Stato Islamico.
Stessa situazione nel Niger, dove fanno da padrone i traffici illeciti, dilaniato da attentati terroristici. Il Niger ha il più basso indice di sviluppo umano, con miglia di migranti in cerca di sicurezza e di benessere. Il tutto alle porte della Libia, dove vi è un conflitto dimenticato da anni, in balia di una guerra civile e di una instabilità perenne che sta lacerando il Paese. Le prime vittime di questa guerra dimenticata sono le persone che cercano di raggiungere l’Italia attraverso la rotta del Mediterraneo centrale. La popolazione è sottoposta ad una grave crisi economica e sociale, con violenze stupri di ogni genere. Altrettanto grave è la situazione nello Yemen, dove si registra una guerra che dura da più di 7 anni, con milioni di sfollati interni, che hanno bisogno urgente di assistenza umanitaria. Una guerra dimenticata che continua però ad avere un impatto enorme sulla popolazione. Così come grave è la situazione dalla Somalia al Monzambico, lungo il fronte africano tra jihadismo e ribelli. Territori sottoposti a continue guerre con ripercussioni umanitarie ed economiche gravi. Altrettanto grave è la situazione in Nigeria, dove si combatte una guerra decennale contro i terroristi islamici. Così come in Afghanistan dove si assiste, da una parte ad una economia della guerra e dall’altra ad economia della criminalità. La maggior parte della popolazione è costretta a vivere nella più cupa miseria, con i talebani che fanno da padrone e discriminano le donne dall’infanzia fino ad età adulta e dove ormai i prezzi del grano e del carburante sono aumentati del 40% e quello del riso del 50%, con una inflazione spaventosa e con un sistema sanitario al collasso.
Altrettanto grave è la situazione in Siria, dove assistiamo alla più grave crisi umanitaria del XXI secolo. Inoltre la situazione non è pacifica fra India e Pakistan con frequenti scontri ai confini e vari attentati che si ripetono da più di 75 anni, dalla spartizione delle due nazioni, con regioni dell’India che vogliono passare al Pakistan. Inoltre vi è la questione fra Cina e Taiwan con ripercussioni in tutto l’emisfero sud orientale. Così pure grave è la situazione nel Libano, una regione in preda a continue guerre, dove la popolazione fatica a sopravvivere ed è costretta ad emigrare. E ancora la situazione in Palestina dove si fronteggiano varie frazioni fra liberazione e lotta per la sopravvivenza. Per non parlare delle varie situazioni dell’America Latina, dal Messico alla Colombia, dove fanno da padrone i cartelli dei narcos e il massacro dei leader sociali. Insomma un mondo in ebollizione, dove le guerre fanno da padrone e provocano milioni di morti, con situazioni gravi a livello sociale, economico e politico. E tutto questo mentre le bombe dei Russi cadono sugli abitanti dell’Ucraina, con gravi ripercussioni a livello mondiale e con lo spettro di una guerra nucleare.
*Società di Storia Patria per la Puglia
Cosa possiamo fare noi per aiutare la pace?
Movimento Nonviolento
Primo dovere: aiutare le vittime, accogliere i profughi.
Secondo dovere: cercare la verità, rifiutare la menzogna.
Terzo dovere: proporre e attuare iniziative di pace.
Con Papa Francesco
Cosa sta facendo il Movimento Nonviolento?
Riteniamo che a livello internazionale le parole e l’azione di Papa Francesco e della Santa Sede (“fare di tutto” per fermare la guerra) rappresentino oggi il punto più avanzato delle proposte per il “cessate il fuoco” e l’apertura di vere trattative. La diplomazia vaticana è in campo e va sostenuta. Il Papa è l’unica autorità a dire che non bisogna riporre fiducia nelle armi. Oggi è il riferimento del movimento mondiale contro le guerre e per il disarmo. Per questo, come abbiamo già fatto, saremo presenti ogni domenica all’Angelus in Piazza San Pietro, con le bandiere della nonviolenza, per sostenerlo e rispondere al suo appello: un segno tangibile di condivisione universale delle proposte di pace. Partecipiamo così alla mobilitazione in atto per fermare l’orrore (chi lo desidera potrà unirsi alla delegazione del Movimento Nonviolento, ogni domenica alle 12 in Piazza San Pietro, nei mesi di marzo e aprile).

Pace per tutti i Popoli
Per il primo dovere: diamo le indicazioni che ci ha fornito l’AOI (Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale) di Rete italiana Pace Disarmo: riferirsi ai canali della Protezione Civile, della Caritas, dei Prefetti che coordinano le iniziative degli Enti Locali per inviare aiuti umanitari e predisporre l’accoglienza.
Per il secondo dovere: diffondiamo le informazioni, i messaggi, le iniziative che i nonviolenti di Ucraina e Russia fanno nei loro paesi, sia con contatti diretti, sia tramite i canali della War Resisters’ International e del BEOC-EBCO (Rete europea per l’obiezione di coscienza al servizio militare) che sostengono gli obiettori e i disertori di entrambi i fronti, promuovendo anche il loro riconoscimento come “rifugiati” presso le sedi istituzionali, nazionali ed europee.
Vogliamo garantire che le loro voci siano conosciute e ascoltate in Italia.
Per il terzo dovere: con la Rete italiana Pace e Disarmo abbiamo partecipato alla realizzazione della grande manifestazione nazionale del 5 marzo a Roma, e agiamo di concerto con tutte le associazioni aderenti alla Rete, che organizzano manifestazioni e iniziative di informazione e dibattito anche a livello territoriale. Analisti ed esperti della Rete stanno fornendo informazioni su tutti gli aspetti della guerra in corso (vittime, costi, conseguenze, minacce, ecc.) e soprattutto sulle proposte che vanno nella direzione della de-escalation e sulle possibili vie di pace per la soluzione del conflitto.
Nonviolenti di tutto il mondo, unitevi!
Siamo solidali e uniti con gli attivisti per la pace in Ucraina, in Russia e in tutto il mondo che stanno resistendo alla guerra e cercando vie di pace; con loro ci opponiamo al militarismo che sta rialzando la testa preparando un futuro buio per tutti. Il MN è la sezione italiana della War Resisters’ International: tutte le sezioni dell’Internazionale dei Resistenti alla guerra stanno sostenendo attivamente il movimento pacifista ucraino, il movimento russo per gli obiettori di coscienza.
Che cosa posso fare io personalmente?
Forse ci sentiamo impotenti. Magari le nostre azioni possono sembrare piccole nel contesto di tutto ciò che sta accadendo. Questo non significa che non possiamo fare nulla. Per esempio:
Se desideri inviare un breve messaggio di sostegno al Movimento pacifista ucraino o agli attivisti per la pace russi, inviacelo per email all’indirizzo redazione@nonviolenti.org e lo invieremo tramite i nostri contatti e reti (la nostra comunicazione con gli attivisti russi è intermittente, a seconda degli arresti e della repressione del governo e delle difficoltà logistiche).
Aiutate i vostri amici, familiari e colleghi ad informarsi su cosa stanno facendo gli attivisti per la pace russi e ucraini. Per esempio, potreste condividere questo elenco di azioni per la pace in Russia russi e questo articolo del Movimento pacifista ucraino. Aggiornamenti quotidiani sul sito azionenonviolenta.it
Se utilizzi i social media, continua a condannare l’invasione di Putin in Ucraina e a dire che l’invio di nuove armi è un errore, attirando l’attenzione sulla resistenza civile degli ucraini e degli attivisti di pace russi; usiamo gli hashtag internazionali #EuropeforPeace e #PacifistNotPassive e in italiano #Cessateilfuoco
Tutte le iniziative che stiamo mettendo in campo, hanno bisogno di una organizzazione e di strumenti operativi, con costi crescenti. Un modo per sostenere e partecipare personalmente, è quello di contribuire al finanziamento delle nostre organizzazioni. Puoi dare un contributo alla Rete Pace e Disarmo e aderire diventando un membro del Movimento Nonviolento e quindi di War Resisters’ International. Sui nostri siti trovi le varie modalità. Stiamo anche per organizzare una raccolta specifica per finanziare le associazioni degli amici nonviolenti ucraini e russi.
È fondamentale, infine, sostenere l’informazione di pace (mentre la grande stampa e l’informazione televisiva hanno messo l’elmetto e si sono arruolate) che richiede un grande lavoro. Azione nonviolenta, cartacea e on line, è una delle voci storiche e attuali che ha sempre informato sulle guerre e i movimenti per la pace. Ne consigliamo vivamente l’abbonamento (non avendo nessuna altra fonte di finanziamento).
Movimento Nonviolento
STORIA DI CIVILTÀ E SANGUE
di Giuseppe Piemontese *
La storia dell’uomo è fatta di civiltà e sangue, anche se ad ogni sconfitta o decadenza l’uomo ha creato le premesse per superarle e creare le condizioni per fondare altre civiltà e altre culture. Tutto questo purtroppo non solo in modo pacifico, ma spesso anche attraverso guerre e distruzioni di ciò che vi era precedentemente.
Oggi, dopo più di settanta anni di pace e di progresso, siamo caduti di nuovo nel baratro della guerra. Da parte mia, come storico, fino ad alcuni anni fa, mi sono interessato solo di storia “locale”, anche se, secondo me, non esiste storia “locale” se non è vista sempre nell’ambito della storia globale. In base a questo ho pubblicato diversi volumi riguardanti prevalentemente la civiltà e la cultura garganica, con riferimento specifico al culto e al pellegrinaggio micaelico. Poi nel 2020 ho pubblicato un volume intitolato Le sfide dell’uomo contemporaneo nell’era della globalizzazione, BastogiLIbri, Roma 2020, pp. 532, in cui per la prima volta prendevo in esame la globalizzazione in rapporto ad alcuni fenomeni che essa ha determinato, come per esempio la crisi della modernità, il tramonto dell’homo hierarchicus a favore dell’homo oeconomicus e technologicus, l’abolizione delle identità territoriali, le disuguaglianze sociali, la diminuzione dell’autorità e dell’autonomia delle nazioni, le migrazioni, il razzismo, l’inquinamento atmosferico, il ritorno delle frontiere e dei muri, il disagio sociale, il diritto alla città, tutti temi che ho affrontato nel mio ultimo libro, attraverso l’analisi delle opere dei maggiori economisti e sociologi contemporanei, fra cui Z. Bauman, A. Sen, A. Maalouf, P. Ricouer, C. Geertz, D. Acemoglu e J. A. Robinson, A. Appadurai, M. Castells, E. Morin, J. E, Stiglitz.

Charlie Chaplin Attore comico
Per quanto riguarda la Guerra fra l’Ucraina e la Russia e, quindi, il ritorno delle frontiere e dei confini fra nazioni e culture, in questi giorni di devastazione e di guerra, il mio amico Michele Eugenio di Carlo, mi ha scritto che per “conoscere il mondo in cui viviamo e per capire la guerra in Ucraina dobbiamo leggere diversi autori, come Bauman sul mondo liquido, Fukuyama sul pensiero unico, Latouche sull'occidentalizzazione del mondo, Huntington sul conflitto di civiltà, Marramao sull'universalismo delle differenze, Castells sui fondamentalismi, ma anche Geertz sui conflitti etnici e religiosi in un mondo globalizzato, senza ignorare Rampini, autori che ritroviamo nel libro Le sfide dell’uomo contemporaneo nell’era della globalizzazione (2020) del prof. Giuseppe Piemontese, il quale, storico della Società di Storia
Patria per la Puglia, esperto in materia, riprende a uno a uno questi autori e tanti altri, riuscendo pienamente nell'obiettivo di introdurci in maniera chiara alla comprensione del mondo in cui viviamo, ma anche di metterci in condizione di tutelarci dai rischi che corriamo, primo fra tutti quello di essere manipolati contro i nostri stessi interessi”. Tutto ciò mi riporta a nuove letture che, in questi ultimi mesi, ho fatto per descrivere, in questo periodo di pandemia, il mondo che verrà, diviso ormai in diverse mappe geopolitiche, come per esempio Cina e Taiwan, Corea del Nord e Corea del Sud, India e Pakistan, Siria, Iraq, Afghanistan, Libano, Libia, Mozambico, Niger, Nigeria, Yemen, ecc., nazioni che determinano il corso della nostra storia e, quindi, il cammino dell’uomo verso la civiltà, oppure verso la catastrofe. Un mondo diviso con rapporti di forza e di debolezza fra i vari popoli della terra, chiusi ancora nei propri confini e nei propri sistemi ideologici che si rifanno ancora al passato e precisamente alla guerra fredda che eventualmente ancora non è stata debellata e conclusa. Mappe di civiltà e sangue che purtroppo condizionano la vita di milioni di persone, che si ritrovano oggi ad affrontare situazioni difficili di convivenza e di sussistenza alimentare, tanto da far affermare che nel mondo vi sono ancora interi popoli che soffrono la fame. Un mondo ancora diviso da confini e da muri, dove persistono divisioni e frontiere, barriere di ogni genere che costituiscono il retaggio di antiche lotte per il riconoscimento, non solo delle persone ma di interi popoli. Insomma un mondo costruito lungo i confini che determinano guerre e lotte fra etnie e interi popoli, diversi per cultura e civiltà e dove ancora perdurano l’odio e i pregiudizi, che fanno da padrone e determinano la storia di questi popoli e delle loro civiltà e culture. E tutto questo ancora attraverso guerre e sangue di innocenti, come stiamo assistendo, oggi, nella guerra fra Ucraina e Russia.
*Società di Storia Patria per la Puglia
Il Potere delle Identità
di Giuseppe Piemontese*
Il razionalismo occidentale ha creato le basi per lo sviluppo sia del capitalismo che del liberalismo, tanto da dare origine, da una parte all’industrializzazione della società moderna, specie nell’ambito della civiltà occidentale e dall’altra allo sviluppo del mercato, da cui è nata la globalizzazione. Tale sviluppo ha coinvolto, in maniera irreversibile, anche i paesi non occidentali, fra cui quelli asiatici, la Cina, l’India, la Corea del Sud, ecc.
Da questo è scaturita una nuova visione del mercato e, quindi, dell’economia globalizzata, non più fondata, come nei paesi occidentali, su valori individualistici, con un’etica prettamente di stampo neo-capitalistico e neo-liberalistico, ma su valori collettivistici e su un’etica a base religiosa e comunitaria. Quest’ultima forma di economia collettivistica è tipica dei paesi asiatici, fra cui Corea del Sud, Singapore, Taiwan e Cina. Due forme di mercato e, quindi, di economia che ci richiamano anche a due modi di pensare e di agire. Il primo a livello globale e il secondo a livello locale, ma, oggi, queste due forme tendono ad unirsi in un’unica forma che è quella della glocalizzazione.

Geografia dell'Europa
In questo processo di conflitto di valori e di forme economiche si inserisce il problema dell’identità, su cui si opera e si agisce a livello storico-culturale, come nel caso del conflitto fra l’Ucraina e la Russia. Due entità politico-geografiche che hanno una stessa matrice identitaria, anche se l’Ucraina, in questi ultimi anni, ha intrapreso un percorso autonomo dalla Russia, con un
avvicinamento ai paesi occidentali e alla cultura europea. Purtroppo, il problema delle identità culturali è molto antico, in quanto ha interessato l’intera storia dell’uomo e delle civiltà, tanto da fondare la propria cultura proprio sul concetto di identità.
Infatti, se parliamo di civiltà greca e di civiltà romana è perché ci riferiamo a determinati valori identitari che hanno caratterizzato tali civiltà. Per finire poi alla civiltà islamica e alla civiltà orientale, che hanno avuto come riferimenti sia il Corano che la cultura islamico-ortodossa.
Oggi, purtroppo, con la globalizzazione, tutto tende verso l’omologazione delle culture e delle civiltà, in nome non solo del libero mercato, ma soprattutto in nome del progresso e di una società libera da condizionamenti culturali ed economici. Tale omologazione sta producendo, specie all’interno dei grandi sistemi politici, come nel caso fra Russia e Ucraina, quanto religiosi, vere e proprie forme di conflittualità, che si manifestano specie nella radicalizzazione della propria identità, tanto da dare origine a forme estreme di fondamentalismo, quanto, come stiamo assistendo, a vere e proprie guerre armate. Su questo fenomeno si sono formate varie teorie, fra cui quella del “pensiero unico” di F. Fukuyama, dell’“occidentalizzazione del mondo” di Serge Latouche, del “conflitto di civiltà” di Samuel Huntington, e così via. Del resto sappiamo che il concetto di identità ha attraversato tutta la modernità, dall’Ottocento fino al Novecento, tanto da caratterizzare, in maniera organica e valoriale, le origini e la formazione delle nazioni e quindi degli Stati europei, in un mondo senza confini e, quindi, senza Stati, anche se l’identità, che un tempo era considerata chiusa in sè stessa e quindi monolitica nei suoi valori e nelle sue connotazioni culturali, oggi non ha più senso, in quanto ci troviamo in un mondo dove primeggiano più le differenze che le unicità e questo con riferimento specifico al fenomeno delle migrazioni, che sta sconvolgendo diversi Stati, fra cui Siria, Iraq, Afghanistan, Libano, Libia, Tunisia, Egitto, tanto da far dire a Z. Bauman, che viviamo in un mondo “liquido”, cioè in una società “liquida”, dove le identità diventano senza confini e senza barriere. In altri termini anche le culture e le identità, ormai, non hanno più confini, né territorializzazione, ma tutto diventa fluido e invasivo verso altre culture e altre civiltà, tanto da creare le premesse, come afferma G. Marramao, per un universalismo delle differenze, più che dell’unicità. In altri termini si passa ormai dall’universalismo illuministico dell’identità, all’universalismo globale delle differenze, cioè all’identità multipla dei popoli e degli Stati. Tutto ciò produce, purtroppo, come nel caso fra Russia e Ucraina, un mondo in perenne conflittualità, che si basa proprio sulla perduta originarietà della propria identità, come, secondo Putin, sta avvenendo alla Russia, un tempo URSS.
Una delle risoluzioni al problema dell’identità è quella di trasformare la sua valenza culturale non più in un sistema chiuso e, quindi, monolitico, quanto assumere oggi l’idea che ci troviamo di fronte a identità multiple, come “unica possibile chiave di accesso comparativa alla vicenda delle civiltà”. E tutto questo può riguardare anche il conflitto in atto fra Russia e Ucraina, dove ognuno accetti in maniera dialogante e pacifica le proprie differenziazioni e le proprie unicità, senza essere condizionati da concetti e vedute ormai prive di senso e di nostalgie del passato.
*Società di Storia Patria per la Puglia
Le Sfide del Futuro
di Giuseppe Piemontese
Il mondo sta diventando sempre più complesso, tanto da far dire a diversi studiosi che oggi, in diversi continenti, regna il disordine. Un disordine geografico e politico, oltre che sociale, che ci porta verso un mondo senza certezze e senza speranza nel futuro.
È il regno dove, a causa anche del fenomeno della globalizzazione, si manifestano problemi enormi, che un tempo erano circoscritti ad un determinato continente o a un determinato Stato. Fra questi problemi dobbiamo annoverare: il problema ambientale, che, in alcune parti del mondo, si manifesta con forme estreme di aridità dei suoli e con un grave problema di inquinamento atmosferico; l’aumento della popolazione, specie nei paesi in via di sviluppo dove la popolazione cresce sempre di più e ha sempre più bisogno di risorse; la perenne conflittualità fra Stati e regioni, tanto da assistere spesso a veri e propri conflitti, come nel caso dell’Ucraina, con milioni di persone che sono costretti a lasciare i loro Paesi, dilaniati dal peggiore degli orrori: la guerra; i vissuti del razzismo e degli odi fra religioni ed etnie, con fenomeni di intolleranza e di violenze; il problema delle periferie urbane, dove si manifestano atti di delinquenza e di disagio sociale; il problema del degrado ambientale, fra cui l’eccessivo consumo del suolo a discapito dell’agricoltura e delle foreste; il problema del petrolio e del gas, con un crescente fabbisogno da parte degli Stati, per uso familiare e industriale; il problema delle disuguaglianze sociali, che sta creando seri problemi nella convivenza fra la gente, specialmente fra chi ne ha tanta ricchezza e chi ne ha poca.

Guerra: Ucraina -Russia
Sono tutte sfide che oggi l’uomo contemporaneo deve affrontare e risolvere, se vuole salvare se stesso e il pianeta. Purtroppo la fluidità di tali problemi abbraccia l’intero mondo, sì che un problema, come il Covid o la guerra fra Russia e Ucraina, acquista una dimensione tanto complessa e ampia da richiedere l’intervento di più Stati e, quindi, di più govenance, non più settoriale ma globale.
Anche se il tutto, oggi, viene inquadrato nell’ambito del fenomeno della globalizzazione che investe diverse economie e situazioni in diversi continenti, fra cui l’Europa, l’America, la Cina, la Russia, l’India, i Paesi Arabi, il continente africano.
Purtroppo le disuguaglianze oggi sono figlie anche del processo di globalizzazione in atto, una globalizzazione legata soprattutto al cosiddetto neoliberalismo, che ha aperto i mercati mondiali in tutte le direzioni, ma che, tuttavia, ha lasciato nella povertà quelle classi sociali che non hanno potere di acquisto e, quindi, fuori da ogni logica economica e finanziaria. E tutto questo si accentua nei periodi maggiormente in crisi, come sta avvenendo con il Covid e con le guerre in atto.
In questo senso, si parla di globalizzazione ingiusta, legata ad un capitalismo che invece di creare ricchezza per tutti, crea ricchezza per pochi, lasciando indietro la maggior parte della popolazione. Purtroppo povertà e disuguaglianza vanno di pari passo, in quanto la seconda produce povertà e quindi miseria, legata ad una errata distribuzione della ricchezza. Oggi questo problema è al centro di ogni programma sia economico che politico, tanto da discutere se nel futuro esisteranno ancora gli Stati nazionali, autonomi, oppure il tutto sarà governato da un governo mondiale con una propria governance. Tutto ciò ci porta a ripensare l’ideologia del capitalismo, che, se fino agli anni Settanta era stata un elemento di forte crescita delle nazioni e, quindi, delle popolazioni occidentali e anche orientali, come la Cina, oggi si hanno dei dubbi sulla capacità del capitalismo di governare il mondo in maniera equa e umana. Da tutto ciò deriva quella instabilità mondiale, di cui si fanno portavoce i popoli che ormai vivono ai margini del benessere e dello sviluppo. Popoli che manifestano la loro indignazione e la loro rabbia attraverso forme a volte di contestazione pacifica, ma più spesso attraverso forme di violenza, fino a praticare forme di radicalismo politico-religioso.
Purtroppo uno Stato privo di libertà e di democrazia è uno Stato che non ha la capacità di determinare da solo il proprio futuro, con una economia che non tiene conto delle reali esigenze della gente, ma dove il tutto si basa soprattutto sui flussi economici di mercato, che determinano lo spostamento di ingenti capitali, in mano solo a certi oligarchi e neo-capitalisti, tanto da determinare l’impoverimento dei territori di cui lo Stato dovrebbe salvaguardare.
In altri termini la globalizzazione, non fa altro che creare disuguaglianze sociali, non tenendo presente l’economia reale della gente. È un problema che gli Stati devono affrontare al più presto, così come oggi la salvaguardia dei propri confini sorti da lotte del passato e del presente e di cui quasi tutti gli Stati ne hanno legittimata l’esistenza. Infatti, la conflittualità degli Stati per la salvaguardia dei propri confini e con l’erezione di muri e barriere, sta creando condizioni di instabilità in diversi Stati e in diversi continenti, tanto da creare le premesse per il fenomeno delle migrazioni di massa.
Un fenomeno che, se nel passato era legato solo a qualche regione o territorio, oggi esso interessa interi continenti, come nel Medio Oriente, in Iraq, Afghanistan, Siria, in Europa, nei paesi balcanici ai confini con la Russia, nelle regioni dell’Africa settentrionale e anche nell’America Latina. Una realtà che i singoli Stati da soli sono incapaci di affrontare, o quanto meno di governare e quindi di limitare. Del resto l’Europa, oggi, si mostra impreparata a tale problema, anche se oggi nella questione ucraina, sta dimostrando una sua unità di intenti e di difesa della democrazia e della libertà dei singoli Stati.
Purtroppo di fronte a certe realtà complesse, come quella fra Ucraina e Russia, per non parlare poi delle altre realtà del mondo intero, nasce quasi un senso di impotenza e di mancanza di fiducia nel domani, in quanto i problemi sono così enormi e complessi, che ogni soluzione pare sia inadeguata alla gravità del presente. In questo senso la difesa del benessere sembra essere messa in pericolo, mentre aumentano povertà, disuguaglianza, disordine mondiale, immigrazione e guerre intestine, violenze di ogni genere. Tutti problemi che l’uomo d’oggi deve affrontare e risolvere, se realmente vuole creare le basi per un nuovo umanesimo legato al rispetto della persona umana e, quindi, della dignità dell’uomo.
Del resto il destino del mondo è legato alla capacità dell’uomo di creare un mondo senza confini e senza ideologie, con una governance mondiale, all’insegna della solidarietà, intesa come superamento dell’homo oeconomicus ma soprattutto come capacità dell’uomo di considerare il proprio simile come se stesso.
*Società di Storia Patria per la Puglia
Dal Falso Si al Falso Sé
di 180 gradi - L'altra metà dell'informazione*
Quando tradimmo noi stessi. Che cos'è il falso sè e come ri-conoscerlo? · Cultura Emotiva culturaemo
E’ frequente incontrare persone che lamentano un malessere rispetto al proprio comportamento eccessivamente compiacente e che riferiscono di non riuscire ad arginare le richieste degli altri, sia nelle relazioni di lavoro che in quelle amicali e affettive.
Approfondendo un poco tale disagio spesso emerge una bassa autostima. Accondiscendere agli altri in un primo momento può rappresentare una soluzione nella gestione della tensione emotiva e nell’evitare il senso di colpa, ma con il trascorrere del tempo il rischio di perpetuare tale comportamento è quello di perdere il senso di sé.
Il bisogno di essere accettati dagli altri può nascondere spesso la paura di essere rifiutati, emarginati e isolati ma il costo di tale paura diviene una vita inautentica, in cui l’aderire alle aspettative dell’altro conduce a recitare una parte, ad indossare una maschera, come dei personaggi in una rappresentazione teatrale, con ruoli non autentici.
L’impossibilità a mettere un confine alle richieste esterne può divenire problematica e fonte di malessere: la soddisfazione dei bisogni degli altri si realizza a scapito dei propri e può far scaturire un profondo senso di frustrazione e rabbia, un senso di ingiustizia, e di carico eccessivo; quando poi accade che il senso di identità si fonda falsamente sull’accondiscendenza ai bisogni e desideri altrui invece che sull’accoglienza dei propri, si può sentire un pesante senso di inutilità soggettivo, di non esistenza.

Riconoscere il Falso dall'autentico
Spesso il comportamento compiacente, che rende impossibile dire di “no” e che nasconde il bisogno di accettazione e vicinanza con l’altro, conduce invece a una sensazione di solitudine e profonda distanza; infatti è proprio quando siamo in una relazione di intima autenticità che stabiliamo un reale contatto con l’altro.
Il termine falso sé, che in gergo tecnico sintetizza i concetti sopra esposti, è stato teorizzato dello psicoanalista Donald Winnicott e si riferisce a una modalità patologica di sviluppo dell’identità che origina nei primissimi stati dello sviluppo infantile.
Quando, nella relazione tra madre (o figura di accudimento) e bambino, l’adulto è disponibile, recettivo e responsivo in modo discontinuo e incoerente, giacché si trova lui stesso in uno stato di difficoltà psicologica, può manifestare atteggiamenti emotivamente invasivi: come abbracciare improvvisamente il bambino, che sta giocando tranquillamente da solo, iniziare a ricoprirlo di carezze e di baci, invadendo, senza alcun preavviso, il suo stato di concentrazione precedente.
L’adulto allora entra nella relazione con una modalità che non corrisponde ai segnali inviati dal bambino, seguendo le proprie emozioni e i propri bisogni, che interferiscono a tal punto da impedire al bambino la percezione chiara e autentica delle proprie emozioni e bisogni.
Questo tipo di relazione rende il bambino incerto e confuso, poiché per lui diviene impossibile prevedere se le sue emozioni ed esigenze saranno comprese e soddisfatte. La confusione deriva inoltre dall’essere costantemente anticipato e ridefinito nei suoi stati interni dall’adulto.
Questo tipo di relazione può sviluppare un senso pervasivo d’inaffidabilità /incapacità nel riconoscere il fluire dei propri stati interni, dando luogo a un senso di sé vago e indefinito.
Il bambino non riesce a far affidamento sulle proprie emozioni e sentimenti per sapere come sta e dare senso e significato alla realtà; apprende invece a fondare il proprio senso d’identità nell’assecondare le richieste altrui. Il senso di vaghezza di sé che ne deriva lo conduce necessariamente a riferirsi agli altri, quindi ad accondiscendere alle richieste esterne, per ricavare un senso di sé stabile e definito.
Durante il periodo infantile questo sarà molto probabilmente un bambino decritto come bravo e che fa tutto ciò che gli è richiesto, un bambino che non da problemi. Spesso tale maturità esternata nei comportamenti “da piccolo adulto” nasconde un’incapacità di affidarsi al proprio mondo interno fatto di emozioni, di sensazioni e di bisogni; il suo comportamento “da adulto” è invece un’imitazione di quello dei grandi, che tende a mettere in atto in modo passivo e compiacente. Ciò può portare a vivere le relazioni affettive in modo non autentico e limitato, poiché non è possibile condividere il sé autentico.
Gli aspetti di tale malessere sono rappresentati da:
- Difficoltà ad essere se stessi
- Perdita del senso profondo della propria identità
- Disconoscimento delle proprie emozioni e tentativo di controllo assoluto su di esse
- Assenza di spontaneità e la mancanza di fiducia nei rapporti affettivi
- Dipendenza dal giudizio degli altri
- Senso di vergona e insicurezza
La messa in discussione del Falso sé avviene quando la sofferenza diviene intollerabile e s’inizia allora a cercare un aiuto. La struttura del falso sé viene messa in discussione e la persona comincia a divenire consapevole dell’inadeguatezza dell’immagine che è solita presentare agli altri: può allora sopraggiungere uno stato depressivo, dovuto al contatto con una dimensione più autentica di sé, vulnerabile e carica di emotività, disconosciuta e fino ad ora nascosta. Nel trattamento delle problematiche connesse ai vissuti del “falso sé” non c’è un approccio terapeutico univoco. E’ importante accompagnare il cliente in un percorso di esplorazione e consapevolezza del proprio personale funzionamento. Come in tutte le terapie è fondamentale costruire una relazione empatica e collaborativa, fondata su un’alleanza terapeutica stabile. Gli interventi devono essere particolarmente ben calibrati, allo scopo di non attivare vissuti di invadenza, che possano ricalcare quelli già esperiti (come ad esempio nella relazione con le figure di accudimento); è importante inoltre accompagnare il cliente nel confronto con i suoi vissuti di frustrazione, in modo da evidenziare il contrasto tra il vero sé e la personalità inautentica, di cui il senso di frustrazione è l’espressione concreta percepita nei diversi contesti, e quanta energia richieda dare spazio alla parte inautentica, in termini di gestione della rabbia e di carico eccessivo. L’obiettivo è sviluppare un senso d’individualità/autenticità e autonomia, funzionale al raggiungimento di un efficace demarcazione e definizione rispetto agli altri.
BIBLIOGRAFIA

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