Problematiche sociali e valutazione delle difficoltà Socio-Economiche
La denatalità, ostacolo al futuro socio-economico italiano
a cura di Matteo Impagnatiello
Il presidente del Consiglio dei Ministri Mario Draghi ha firmato, il 21 dicembre 2021, il decreto che stabilisce le quote di lavoratori stranieri che potranno venire a lavorare legalmente in Italia. Il decreto flussi prevede, infatti, 69.700 cittadini stranieri da impiegare nel lavoro stagionale e non stagionale.
Di questi, 27.700 quote sono riservate agli ingressi per lavoro non stagionale o autonomo: 20.000 nel settore autotrasporto merci, edilizia e turistico alberghiero e le restanti 7.700 per le conversioni dei permessi di soggiorno stagionale, tirocinio, studio, ecc; 42.000 quote sono invece riservate agli ingressi per lavoro stagionale nei settori agricolo e turistico alberghiero.
Con la modifica dei decreti sicurezza è stata inoltre introdotta la possibilità di aggiornare, anche nel corso dello stesso anno, il numero degli ingressi per i lavoratori stagionali tramite il varo di un nuovo decreto flussi. Draghi stesso, infatti, non ha escluso l’ipotesi che l’anno prossimo possa essere presentato un nuovo decreto flussi.
Se la tendenza sarà, come quest’anno, quella di allargare sempre più le maglie dell’immigrazione legale, nel quadro di un debole contrasto agli sbarchi clandestini che non accennano a diminuire, il giudizio sulle politiche messe in campo non può che essere negativo. Osservando i dati inerenti al contesto socio-economico
italiano, sembra che la classe dirigente del Paese sia avulsa dalla realtà sociale. Chissà se le linee programmatiche del Governo Draghi, il terzo della XVIII legislatura, siano in sintonia con la volontà popolare.
Nel mese di settembre 2021, l’Istat certifica una percentuale di disoccupati pari al 9,2%, mentre tra i giovani si attesta intorno al 29,8%.
Nel 2020 si conferma l’abbassamento del livello di istruzione degli stranieri, contrapposto alla crescita progressiva di quello degli italiani. Se nel 2008 la percentuale di popolazione con almeno un titolo secondario superiore era uguale per gli italiani e gli stranieri, nel 2020 la quota degli italiani è maggiore di 18 punti: 64,8% contro il 46,7%; la differenza è di 10 punti tra i laureati (21,2% contro l’11,5%).
Piuttosto che optare per generosi decreti flussi, sarebbe ora di porre efficaci soluzioni contro quello che Papa Francesco ha definito proprio in questi giorni “inverno demografico”, con il rischio di farci scomparire come popolo.
Il continuo calo della popolazione mette in pericolo la possibilità di una crescita sostenibile. Senza politiche efficaci di contrasto alla denatalità per invertire la rotta, entro il 2050 il numero dei cittadini in età attiva potrebbe ridursi di oltre otto milioni di persone. Funga da monito l’omelia del Santo Padre, rivolto durante l’Angelus ai fedeli: “Mi viene in mente una preoccupazione vera, almeno qui in Italia, l’inverno demografico: sembra che tanti abbiano perso la fiducia nell’andare avanti con i figli. E’ una tragedia. Facciamo di tutto per vincerlo. E’ contro le nostre famiglie, contro la Patria, contro il futuro”.
Già da oltre un quindicennio le prospettive demografiche italiane sono spaventose. Si verificheranno pesanti conseguenze economiche per l’Italia, che presto si troverà con tanti pensionati e un numero insufficiente di lavoratori in grado di mantenerli. Lo stato sociale collasserà.
Il degiovanimento della società italiana, derivante dal calo delle nascite, ha generato una quota insufficiente di nuovi lavoratori, causando così perdita di dinamismo e innovazione.
Non si può pensare che l’immigrazione possa essere la soluzione al dramma demografico. Bisogna invece incentivare le nascite con politiche familiari da troppo tempo trascurate. E’ l’unica via d’uscita per la salvezza dell’Italia.
*membro Unidolomiti
Per una politica del "Bene Comune"
a cura di Giuseppe Piemontese *
Mai, come in questo momento, il concetto di “bene comune” è più appropriato alla nostra esistenza, messa in pericolo da un virus invisibile, che sta mietendo morte e sofferenza in tutto il mondo. Bene comune rivolto soprattutto alla salvaguardia della salute e, quindi, alla necessità di preservare la vita, messa in pericolo da coloro che non credono nella medicina e, quindi, nella sanità, che oggi come non mai, deve essere considerata come “bene comune”, non solo di alcune persone o nazioni, ma di tutto il mondo
Del resto siamo consapevoli che ciò che ci sta succedendo è un fenomeno non più ristretto a poche persone o a poche nazioni, ma a tutto il mondo, tanto da considerare la salute come il “bene comune” primario del nostro Pianeta e quindi dell’intera umanità. Ma al di là di ciò che oggi è considerata l’emergenza del Covid-19 dobbiamo approfondire il concetto stesso di “bene comune”, troppo spesso non tenuto presente da molti, tanto da assistere purtroppo a tante guerre e a tante discriminazioni, in campo sociale, culturale, economico, ma soprattutto in campo razziale. Tuttavia bisogna affermare che, oggi, la tematica di “bene comune” sta acquisendo una valenza quanto mai attuale, specie nei momenti di grave crisi economica e sanitaria, quest’ultima intesa come salvaguardia della salute, non solo individuale ma collettiva. Quindi, necessità di un buon vivere, intesa come salvaguardia del “bene comune, innanzitutto dell’onestà, della giustizia sociale, dell’uguaglianza, che purtroppo in questo periodo di pandemia, è stata messa in crisi, creando i presupposti per una maggiore disuguaglianza, tanto da colpire la maggior parte delle persone a basso reddito.
Monte Sant'Angelo
Crisi che riguarda specialmente lo stare bene in società, che poi si ripercuote nel vivere in una comunità e, quindi, in una città a dimensione d’uomo. Da tutto ciò deriva la necessità di recuperare il senso sociale, come parte essenziale del “bene comune”. Tuttavia ciò non basta, se l’individuo, nella sua relazionalità con gli altri, ma anche con il suo habitat, non crea in se stesso una propria coscienza e un proprio senso di appartenenza, tale da creare
i presupposti per una maggiore qualità del vivere insieme.
Purtroppo veniamo da una società che ha dimenticato i valori specifici riguardanti la cultura dello stare insieme e, quindi, dell’abitare, quei valori di cui ci hanno parlato M. Heidegger e C. Norberg-Schulz, allorquando hanno affermato che lo stare insieme significa costruire, pensare, essere nel e per il mondo, tanto da creare le basi per una identificazione con i luoghi, in un rapporto simbiotico fra uomo e ambiente, fra uomo e la sua città, tramite il sentimento dell’appartenenza. In questo senso città e individuo sono un tutt’uno, nella loro globalità e complessità esistenziale.
La qualità urbana, intesa anche e soprattutto come “bene comune” è essenziale per sviluppare il senso dell’appartenenza, ma soprattutto per trasmettere alle nuove generazioni il patrimonio culturale della società.
A questo punto ci chiediamo: Che cos’è lo spazio urbano? Certamente in questa categoria entrano diverse peculiarità, fra cui la fisicità del territorio, l’aspetto compositivo ed estetico dell’architettura, nonché i relativi significati simbolici associati.
Inoltre la razionalità e la funzionalità degli spazi urbani. Tutto questo va a comporre lo spazio urbano e, quindi, il patrimonio urbano, che si integra poi all’interno del suo territorio in senso globale, ossia come un sistema complesso, costituito dall’insieme delle sue tre componenti inseparabili che sono: l’ambiente naturale, l’ambiente costruito e l’ambiente umano.
La valutazione della qualità urbana si baserà essenzialmente sulla ricerca dell’equilibrio di tutte e tre le componenti, cioè quella morfologica, funzionale ed economica. Purtroppo il più delle volte nella qualità urbana ha finito per privilegiare il soddisfacimento di alcune esigenze particolari a danno delle altre, per esempio, solo quelle economiche e non ambientali o culturali.
Così a volte si sacrifica il bene patrimoniale pubblico alle esigenze private, togliendo così alla collettività il vero significato di “bene comune”, formatosi nell’arco dei secoli. Purtroppo succede che gli abitanti di un luogo o di una città non hanno alcun potere di determinare la valutazione del “bene comune”, per cui tutto è affidato alla politica, che spesso non tiene presente la dimensione collettiva del “bene comune”.
Tutto ciò è molto più grave nelle regioni del Sud, dove la pandemia ha creato maggiormente una divaricazione fra la gente, con mancanza di investimenti per creare buona occupazione, nonché mancanza di ammortizzatori sociali universali e politiche attive, al fine di contrastare la precarietà del lavoro che è massima specialmente nel Mezzogiorno d’Italia e che colpisce soprattutto i giovani, costretti ad emigrare verso le regioni del Nord. C’è bisogno, quindi, di un giudizio di valore sociale complesso, che ponga al centro la consapevolezza che il proprio territorio e tutto ciò che è ad esso connesso, fra cui i centri abitati, con i loro “beni culturali”, la loro storia e il valore intrinseco delle tradizioni, siano considerati patrimonio collettivo, espressione della propria identità e della propria formazione culturale. In altre parole c’è bisogno che il cittadino, attraverso la sua azione, ponga al centro della vita sociale, culturale e anche politica, il sentimento e il valore del “bene comune”.
Cioè bisogna ricostruire e rideterminare il senso autentico della città e, quindi, della sua comunità, nella precisa consapevolezza che i propri abitanti rappresentano, a pieno titolo, gli autentici soggetti sociali di ogni cambiamento. Soltanto attraverso la riscoperta di un ruolo attivo e propositivo degli abitanti, la città potrà ritornare a essere luogo della politica, della coesione sociale, delle buone relazioni, della collaborazione, dello stare insieme, della convivialità, dell’impegno gratuito, della riscoperta del donare se stessi alla comunità e, quindi, alla città intesa come “bene comune”. In questo senso la politica deve essere al servizio del “bene comune” e, quindi, di ogni cittadino.
È evidente come tutto questo potrebbe avvenire soltanto alla condizione che sia proprio l’iniziativa politica nazionale e locale, insieme al mondo della cultura, dell’economia, dell’associazionismo, a impegnarsi molto attivamente per poter contrastare tutte le discriminazioni, attraverso la estensione degli Statuti di cittadinanza; per poter contrastare ogni segregazione sociale attraverso la gestione democratica della città e per poter contrastare tutte le forme di esclusione attraverso la costruzione di una nuova piattaforma di solidarietà sociale. Tutto questo porta a considerare il “bene comune” come elemento essenziale di crescita sociale e di sviluppo economico, culturale e non ultimo politico.
*Società di Storia Patria per la Puglia
Le conseguenze della pandemia
di Giuseppe Piemontese
L’attuale situazione pandemica mi porta a far delle riflessioni sulla nostra società contemporanea, ma soprattutto sui rapporti che oggi intercorrono fra le nazioni che governano il mondo. Una pandemia che ha messo in evidenza la fragilità dell’uomo contemporaneo, ma anche altri aspetti riguardanti più in generale la società di oggi che fa capo a diversi Stati, che hanno paura di non riuscire a creare una società più giusta ed uguale.
Una società dell’incertezza, in cui i vecchi valori di giustizia, di uguaglianza, di democrazia, di solidarietà sono messi in crisi, in maniera tale da creare un clima di intolleranza e, quindi, di grande paura nel domani. Sensazioni che, oggi, ritroviamo in diversi autori non solo di romanzi, ma soprattutto sociologi ed economisti, i quali mettono in discussione il nostro sviluppo legato al capitalismo e quindi alla globalizzazione. Autori che fino a ieri avevano elogiato il liberismo, con una totale fiducia nel proprio domani, ma soprattutto nella capacità dell’uomo di determinare il proprio destino dubbioso in un futuro di speranza, di progresso e di solidarietà.
Foto corriere.it
Del resto è sotto gli occhi di tutti lo stato di tensione fra gli Stati, come la Cina, la Russia, gli Stati Uniti, i paesi islamici, l’Europa, i cui paesi non hanno più la forza di far sentire la loro voce basata su saldi principi di democrazia e di giustizia sociale. Quindi, crisi della democrazia, ma soprattutto crisi del pensiero che diventa crisi identitaria, che
oggi si manifesta soprattutto attraverso la nascita di movimenti e partiti populisti, che annullano ogni riferimento al pensiero critico e ogni necessità di basare la nostra vita sulla conoscenza e sul dialogo fra i popoli. Conoscenza che purtroppo tende ad annullarsi a favore di atteggiamenti di intolleranza e di odio fra le parti.
Odio non solo a livello individuale, ma soprattutto collettivo, che si riflette anche nei rapporti fra gli Stati, che tendono a far valere più che il dialogo, quanto la forza e la minaccia.
In questo modo si aprono scenari inediti, che credevamo, fino a qualche decennio, di aver dimenticato e di aver superato.
Un processo regressivo, che pone in risalto una generale crisi delle democrazie e lo ricompone in un sistema autoritario delle nazioni, spinte da forze populiste che tendono ad annullare ogni forma di democrazia, a favore di regimi autoritari, sorti a loro volta dalla collera popolare, che sente sempre più la crisi dei valori, ma soprattutto la crisi economica, dovuta anche a fattori contingenti, come la pandemia. Tutto ciò crea un clima di paura e di violenza, tanto da incidere soprattutto sul sistema economico e sui rapporti fra gli Stati. Per non parlare poi del nostro sistema psicologico, che ne risente a livello psichico e comportamentale. Tutto questo deriva, come afferma il sociologo Edgar Morin, dalla mancanza di un vero e proprio pensiero, in balia di seducenti detrattori della verità oggettiva, che purtroppo determina un clima di tensione sociale e culturale.
Tutto questo è una minaccia non solo a livello individuale, quanto una minaccia a tutta l’umanità, che si manifesta, per esempio, sul degrado dell’ambiente, tanto da produrre un vero e proprio dispiegamento tecno-economico animato dal profitto o dalla volontà di potenza degli Stati, soggiogati dal neoliberismo e, quindi, dalla globalizzazione. In altre parole viviamo in una pseuda ricerca di certezze, che ci sta portando solo verso un mondo diventato sempre più difficile e pieno di incertezze nel futuro. Come del resto la pandemia, sorta da un evento di manipolazione dell’esistente, ha creato gravi difficoltà sul piano sanitario, economico e sociale. Problemi e conseguenze che si ripercuoteranno in campo sociale ed economico, tanto da assistere ad una maggiore povertà e disuguaglianza, le quali non recederanno, anzi aumenteranno in maniera esponenziale, con quasi 100 milioni di individui in più in povertà assoluta, seconda la Banca mondiale.
Un mondo fatto di rabbia e dolore, con istinti economici che prevarranno e creeranno maggiori conflitti fra comunità e Stati. Tutto questo sta producendo, afferma E. Morin, “un degrado della qualità della vita, con un degrado delle solidarietà tradizionali, una perdita di senso della comunità, le condizioni di isolamento e chiusura in cui viviamo, o ancora il dominio di un potere economico che distrugge ogni forma di biodiversità in campo agricolo”.
C’è bisogno che l’uomo incominci a prendere coscienza di quanto sta avvenendo attraverso una maggiore conoscenza dell’esistente. In questo processo di conoscenza e di pensiero critico un posto di rilevante importanza hanno gli Stati che hanno costruito i loro sistemi democratici attraverso le ultime conquiste sociali e culturali, come per esempio i paesi dell’Unione Europea, tanto da equilibrare le spinte egemoniche degli altri Stati, come la Cina da una parte e l’America dell’altra.
Un processo di consapevolezza e di equilibrio che può avvenire solo attraverso il dialogo e l’acquisizione di un nuovo paradigma che è il “bene comune”. E questo in nome e per contro di un destino condiviso, fondato sul presente, ma soprattutto sul futuro, allontanando così, come scrive Ken Follett, lo spettro di un conflitto armato a livello globale.
*Società di Storia Patria per la Puglia
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