10 giugno 2009

"Il Principe dei Briganti" opera teatrale

La rappresentazione si terrà il
26 giugno alle ore 19,30, nell'auditorim delle "Clarisse" di Monte Sant'Angelo.

 

Carissimi,
come di consuetudine, anche quest’anno gli ospiti, gli operatori ed i volontari della Comunità "Gheel", del Centro Diurno e dell’Associazione di Assistenza ed Accoglienza "Genoveffa De Troia" rappresenteranno "Il Principe dei Briganti", un dramma storico sul Brigantaggio post-unitario garganico, del prof. Michele Campanile.
L’elaborazione drammaturgica e la messa in scena sono i risultati del proficuo lavoro del dott. Michele Notarangelo, mentre i testi dei canti e la musica sono l’omaggio di emozioni vissute dal cantautore fisarmonicista Antonio Silvestri.

La trama:

E’ il 1861.
Ritorna a casa a Monte Sant’Angelo, un caporale dell’ormai disciolto esercito borbonico. E’ un giovane pastore, Luigi Palumbo di Luca.
Nella città, c’è tensione. I galantuomini sono disorientati e intimoriti dagli eventi politico-sociali. I pastori, i contadini e gli artigiani vivono gli stravolgimenti politici narrati nelle piazze, nelle campagne, dai proprietari e dal clero.
La fuga di Francesco II e la venuta del re straniero, Vittorio Emanuele II, li gettano nello scompiglio.
Una motivata agitazione dovuta non all’interesse politico, bensì a quello economico e sociale. In quegli anni, loro, chiamati galantuomini, si impadronivano delle terre demaniali. Nel 1860, dopo le occupazioni delle terre pubbliche, usurparono la proprietà comunale, la occuparono, la dissodarono su larga scala. Non dissodarono terreni coltivabili, ma sradicarono, bruciarono alberi, distrussero boschi in maniera vandalica. Gli usurpatori delle terre comunali, prima fedeli sudditi borbonici, divennero liberali e sostenitori dell’Unità d’Italia.
Nei loro machiavellismi, finì anche Luigi Palumbo, di appena 25 anni. Da questi uomini, fu avvicinato, lusingato e motivato nella guerra contro i Piemontesi. Era, questo, un loro modo per tutelarsi dai risvolti della politica nazionale. E poi, era quasi certo il ritorno del Borbone, Francesco II.
Era il marzo 1861, quando i soldati sbandati dell’esercito Borbonico furono richiamati alla leva militare. I galantuomini locali, liberali e borbonici, fecero di Luigi Palumbo un capo. Il capo di una folta banda di 92 briganti.
Una forza armata celata al loro servizio. Lo vollero acquartierato nei boschi, nella foresta, protettore delle loro acquisite proprietà ed usanze feudali.
Il pastore-caporale, più volte, si scontrò con la Compagnia della Trentesima di Linea del Battaglione, comandata dal Maggiore Martino. Il capo brigante, Luigi Palumbo, conduceva la guerra degli altri, immolando la vita di tanti giovani disperati, impauriti e massacrati dall’esercito nazionale.
In quei giorni di guerra, Luigi ed i suoi briganti occuparono, più volte, la borgata di Mattinata.
Nel luglio del 1861, invasero la città di Vieste, abbattendo gli stemmi nazionali e proclamando Francesco II.
Di seguito, invasero la città di Vico, sciogliendo l’amministrazione comunale liberale. Il pastore, il caporale, il brigante, Luigi Palumbo divenne il "Principe Luigi", il terrore del Gargano.
Tanti furono gli accadimenti, ricatti, sequestri, battaglie e fughe.
Poi, arrivò il tempo della svolta.
I galantuomini scelsero di stare con "i Nazionali", la nuova classe dirigente. E non lo fecero per convinzione.
Il "Principe Luigi" ritornò brigante, abbandonato nei boschi, privo di protezione. In un gelido inverno, venne tradito, ferito ed arrestato con suo fratello Pasquale. Nel 1864, morì in solitudine nel carcere di Lucera.
Con questo tumultuoso dramma storico, si è voluta rivisitare la storia sociale della "doppia società", fatta di briganti e liberali, esclusi e inclusi, matti e sani.
Differenze che emarginano, escludono, rinchiudono e distruggono la vita di donne e uomini.
Per gli ospiti, i familiari, i volontari e gli operatori, la conoscenza della storia locale è un modo per costruire "Città sociali", fondate sulla solidarietà e sulla libertà dal bisogno, in modo da abolire la pratica dell’ esclusione in quanto "spreco sociale", spreco di vite umane.
Vi abbraccio.
Matteo Notarangelo

 

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