Etica e Filosofia del Servizio Psichiatrico Idee e esperienze alla ricerca del "nuovo" in campo psichiatrico.
- Vissuti dal senso non comune. Esperienze e vissuti degli ospiti in Comunità
- Vi diciamo quanti, chi e come si ammalano di disturbo psichico a cura di Donata dei Nobili e Matteo Notarangelo
- Con la pandemia cresce la diseguaglianza sociale di Giuseppe Piemontese
- Dall'Antropocentrismo all'Ecocentrismo. É tempo di cambiare rotta di Giuseppe Piemontese
- Costruire una rete per l'inclusione è possibile. Presentazione di un operatore
- Cara Einaudi, di che arte stai parlando? di Agnese Baini
- La festa di San Michele, una festa di “pellegrini” di Donata dei Nobili
- La società del disagio di Giuseppe Piemontese
- Quale speranza ci darà la sanità di Draghi? di Pasquale Biscari
Vissuti dal senso non comune.
Esperienze e vissuti degli ospiti in Comunità
Culture of enquiry, o cultura dell'indagine, che si riferisce non semplicemente alla creazione di un certo tipo di struttura, ma ad una cultura di base dello staff fatta di "indagine onesta delle difficoltà"
Il fine di una CT non è quello di guarire una persona ma a farla stare meglio, o se volete, meno male.
Sulla malattia mentale molto si conosce, ma ancora molto si deve scoprire.
Attualmente la teoria vulnerabilità stress è un modello esplicativo sulla patogenesi della malattia mentale, secondo la quale, in alcune persone l'effetto combinato della vulnerabilità genetica e di fattori stressanti supera la soglia individuale di adattamento bio-psico-sociale e favorisce la comparsa dei sintomi del disturbo mentale a
cui la persona è vulnerabile (Zubin 1992).
La vulnerabilità alla schizofrenia, la più grave delle patologie psichiatriche acquisite, può manifestarsi prima dell'esordio di malattia sotto forma di un funzionamento premorboso inadeguato, di scarse abilità sociali, di comportamenti strani ed eccentrici e di isolamento o ritiro.
L'esordio può essere acuto (nell'arco di giorni o settimane), oppure lento e insidioso (nell'arco di alcuni anni).
I numeri della schizofrenia sono impressionanti: Su base mondiale la prevalenza della schizofrenia sarebbe dell'1%, sebbene esistano sacche di prevalenza maggiore o minore.
Negli USA i pazienti con schizofrenia occupano circa 1/4 di tutti i posti letto ospedalieri e rendono conto di circa il 20% dei giorni di invalidità a carico della sicurezza sociale.
La schizofrenia ha una prevalenza più alta del morbo di Alzheimer, del diabete o della sclerosi multipla.
La prevalenza della schizofrenia appare più alta tra le classi socioeconomiche inferiori delle aree urbane, forse perché i suoi effetti invalidanti portano a disoccupazione e povertà.
Analogamente, la prevalenza più alta tra le persone sole
può riflettere un effetto della malattia, oppure un suo precursore a livello del funzionamento sociale. La prevalenza è paragonabile nel sesso maschile e in quello femminile.
Il picco di insorgenza è tra i 18 e i 25 anni nel sesso maschile, e tra i 26 e i 45 in quello femminile.
Tuttavia non è infrequente l'esordio nell'infanzia, nella prima adolescenza o nell'età avanzata.
Prognosi: Complessivamente, 1/3 dei pazienti consegue un miglioramento significativo e durevole; 1/3 ha un certo miglioramento ma con ricadute intermittenti e una disabilità residua; 1/3 ha invalidità gravi e permanenti.
I fattori associati a prognosi favorevole comprendono: un funzionamento premorboso relativamente buono, un esordio di malattia tardivo e/o acuto, un'anamnesi familiare di disturbi dell'umore piuttosto che di schizofrenia, una compromissione cognitiva minima e l'appartenenza al sottotipo paranoide o non deficitario.
I fattori associati a prognosi sfavorevole comprendono: un'età di esordio precoce, un funzionamento premorboso inadeguato, un'anamnesi familiare di schizofrenia e l'appartenenza al sottotipo disorganizzato o deficitario con numerosi sintomi negativi.
Il sesso maschile ha una prognosi più sfavorevole di quello femminile.
I vissuti, le emozioni delle persone affetta da schizofrenia evidenziano le gravi difficoltà dell'individuo a mantenere una coesione della propria coscienza. Vi è la perdita di quello che viene definito il senso comune.
Vi subentra, per parafrasare Kant, un senso privato, come se "l'anima" fosse "spostata" in un punto dal quale vede gli oggetti diversamente e si trova in un luogo lontano da quel senso comune che lega le persone nel vivere insieme.
Dalla prospettiva de-localizzata la psiche dell'individuo compone in un certo ordine il mondo che lo circonda e fornisce alle persone legate tra loro dal " senso comune" o se volete da un "comune senso" una prospettiva originale e a me piace chiamarlo da un " non comune senso" inteso come costruzione di senso e arricchimento della conoscenza del mondo.
Degli stessi autori leggi anche ...
Vi diciamo quanti, chi e come si ammalano di disturbo psichico
a cura di Donata dei Nobili e Matteo Notarangelo *
A volte, si pensa che il male di vivere possa sfociare nella sofferenza esistenziale o nel disturbo psichico. Diciamolo subito: "E' una verità!". Per affermare questa verità, si è guardato e letto le notizie e gli studi dell'Organizzazione Mondiale dela Sanità. Da questa ricerca, è scaturità la fotografia di quanti convivono con la sofferenza esistenziale nelle varie fasi della vita. La depressione è il disturbo mentale più diffuso: si stima che in Italia superino i 2,8 milioni (5,4% delle persone di 15 anni e più) coloro che ne hanno sofferto nel corso del 2015 e siano1,3 milioni (2,5%) coloro che hanno presentato i sintomi della depressione maggiore nelle due settimane precedenti l'intervista.
A volte, si pensa che il male di vivere possa sfociare nella sofferenza esistenziale o nel disturbo psichico. Diciamolo subito: "E 'una verità!". Per affermare questa verità, si è guardato e letto le notizie e gli studi dell'Organizzazione Mondiale della Sanità. Da questa ricerca, è scaturita la fotografia di quanti convivono con la sofferenza esistenziale nelle varie fasi della vita.
La depressione è il disturbo mentale più diffuso. Si Stima Che in Italia superino i 2,8 Milioni (5,4% delle PERSONE di 15 anni e Più) Coloro Che ne Hanno sofferto nel corso del 2015 e Siano1,3 milioni (2,5%) coloro che hanno presentato i sintomi della depressione maggiore nelle due settimane precedenti l'intervista.
Rispetto alla media dei paesi europei, in Italia la depressione è meno diffusa tra gli adulti e tra i 15 - 44enni (1,7% contro 5, 2% media U e 28), mentre per gli anziani l o svantaggio è di 3 punti percentuali.
La leggerezza della follia
La depressione è spesso associata con l'ansia cronica grave. S i stima che il 7% della popolazione oltre i 14 anni (3,7 milioni di persone)abbia sofferto nell'anno di disturbi e sioso - depressivi.
Al Crescere dell'Età, Aumenta la Prevalenza dei Disturbi di Depressione e ansia Cronica tomba (da l 5,8% Tra I 35 - a 64 anni al 14,9% Dopo i 65 anni).
Rispetto agli uomini, lo svantaggio delle donne emerge in età adulta e si acuisce oltre i 6 5 anni di età.
I disturbi ansioso - depressivi si associano a condizioni di svantaggio soci ale ed economico: rispetto ai coetanei più istruiti, raddop p iano negli adulti con basso livello di istruzione e triplicano(16,6% rispetto a 6,3%) tra gli anziani, fra i quali risultano però meno evidenti i differenziali rispetto al reddito.
In Italia, nell’anno scolastico 2016/2017 i due terzi degli alunni con disabilità nelle scuole di ogni ordine e grado presenta una disabilità di tipo intellettivo (oltre 170mila alunni). Si stima che i minori con disturbi mentali dell’età evolutiva ospiti dei presidi residenziali siano 11 su 100mila minori residenti. Per la salute mentale, è rilevante la condizione lavorativa: inattivi e disoccupati tra i 35-64 anni riferiscono più spesso disturbi di depressione o ansia cronica grave (10,8% e 8,9%), rispetto ai coetanei occupati (3,5%). Il numero medio di giornate di assenza dal lavoro è tre volte superiore tra gli occupati se affetti da depressione o ansia (18 gg contro 5 gg nell’anno).
Con riferimento alle dipendenze, nel 2016 i ricoveri per diagnosi droga-correlata sono 108 ogni milione di residenti (pari a 6.575, +10% rispetto al 2015), in aumento nell’ultimo triennio soprattutto tra i giovani di 15-34 anni.
Con l’invecchiamento della popolazione, la malattia di Alzheimer e le demenze sono diventate patologie rilevanti per la salute pubblica. Si stima che circa il 4,7% della popolazione anziana ne sia affetta, in particolare le donne ultraottantenni (14,2%). Queste due malattie figurano tra le cause di morte in oltre 52 mila casi all’anno di decessi di anziani.
Il tasso di mortalità per suicidio in Italia è pari a 6 per 100mila residenti (più basso della media europea, pari a 11 per 100mila). Tale quota aumenta con l’età, passando da 0,7 nei giovanissimi (fino a 19 anni) a 10,5 negli anziani, con valori 4 volte maggiori nei maschi rispetto alle femmine. Nella classe di età tra i 20 e i 34 anni, il suicidio rappresenta una rilevante causa di morte (12% dei decessi).
Nel 2016 circa 800mila persone di 18 anni e più (161 per 10mila residenti) hanno ricevuto trattamenti nei servizi dei Dipartimenti di salute mentale (Dsm). Tra gli uomini adulti, il principale disturbo è la schizofrenia e altre psicosi funzionali; Nelle donne le sindromi nev rotiche e somatoformi e, DOPO I 35 anni, la Depressione; tra gli anziani la depressione.
Fonte: OMS.
* Sociologi
Con la pandemia cresce la diseguaglianza sociale
di Giuseppe Piemontese*
La pandemia ha creato le basi per rivedere in maniera nuova i principi e i valori della nostra civiltà e del nostro modo di vivere.Il mondo post pandemico non riparte diverso da prima, anzi riparte peggiore: ci saranno 100 milioni di individui in più in povertà assoluta, secondo la Banca mondiale. Ma, come ogni volta, il mondo ripartirà, con i suoi istinti economici, con più rabbia che dolore” (Repubblica/Robinson, 20 marzo 2021). Ed ecco allora che oggi servono politiche deliberate di promozione sociale e democratiche, di promozione di equità territoriale che tengano conto delle diverse situazioni territoriali e delle loro potenzialità. Una società aperta fondata sulla conoscenza, sull’istruzione, sulle opportunità, sulla formazione, sulla innovazione e sulla digitalizzazione. In altri termini una società aperta al futuro.
La pandemia ha creato le basi per rivedere in maniera nuova i principi e i valori della nostra civiltà e del nostro modo di vivere, non solo la nostra società, quanto il nostro rapporto con il mondo e con la Natura. Ed è la Natura che in tutti questi decenni, specie dagli anni Ottanta del Novecento, è stata usata e utilizzata solo a scopo antropocentrica, tanto da provocare un progressivo deterioramento delle acque della terra, con un peggioramento del clima e dei fenomeni naturali, dovuti soprattutto al surriscaldamento atmosferico e al peggioramento del clima, con conseguenze nefaste sia sul piano ambientale sia sul piano della salute dell’uomo. Oggi ne stiamo pagando le conseguenze, con una pandemia che si sta verificando ormai da più di un anno. Certamente tutti siamo consapevoli che da questa pandemia un giorno ne usciremo e ritorneremo a vivere una vita normale, così come eravamo abituati, anche se molti studiosi si chiedono: "Quali conseguenze avrà la pandemia sulla nostra vita futura? Il mondo sarà uguale come era prima, oppure si avranno dei cambiamenti sul piano sociale, economico, sanitario e anche politico, oltre a quello culturale?". Cambiamenti che senz’altro sono o saranno le conseguenze di ciò che la crisi ha prodotto e ha determinato, specie per quanto riguarda il nostro tenore di vita e la nostra capacità di essere pronti per intraprendere un nuovo viaggio verso uno sviluppo sostenibile. Purtroppo, molti sono consapevoli che i danni provocati dalla pandemia sono oggi molto pesanti ed essi avranno serie conseguenze su molte categorie di persone, che hanno dovuto chiudere le loro attività e debbono di nuovo reinventare un nuovo cammino verso una nuova situazione sociale ed economica. Certamente, ci troviamo di fronte ad una nuova situazione, in cui il futuro non appare molto roseo, mentre il presente è ancora incerto e pieno di paura. Oggi, infatti, molti sono convinti che da domani avremo la sensazione che vivremo un tempo in cui parleremo di un primo e un dopo pandemia, in cui si porrà la domanda in che modo supereremo e svilupperemo in meglio l’attuale assistenza sanitaria, essenziale per un domani più sicuro e più efficiente, ma specialmente in che modo supereremo la crisi economica e sociale, che si è venuta a creare con la pandemia. Sono due aspetti essenziali per il post-pandemia e, quindi, per il nostro futuro.
Il mondo post pandemico: crisi senza precedenti
La pandemia ha messo in evidenza la fragilità della nostra vita, sia sul piano sanitario che sul piano socio-economico, tanto da riscrivere o rivedere in parte la nostra cultura e la nostra civiltà, fondata, sull’antropocentrismo, su una economia neoliberista, i cui principi sono improntati solo sul profitto e sullo sfruttamento della Natura, senza tenere conto alcuno della salvaguardia della biodiversità e della sostenibilità.
Un processo economico-sociale fondato solo sull’individualismo. La pandemia, però, non ci ha fatto scoprire il valore della solidarietà e della comunità, quali elementi base per superare il diffondersi del virus, che è anche colpa della sete di sfruttamento dell’uomo delle foreste e dell’habitat naturale, quali elementi visti solo da un punto di vista economico.
Una pandemia che ci farà scoprire, forse, con ritardo, il senso di appartenenza, la responsabilità collettiva, la nostra vera identità sociale, non solo egoistica ma antropica. Un nuovo spirito, non più rivolto verso la morte, ma verso la vita individuale e collettiva.
E questo probabilmente a livello mondiale, in quanto la pandemia ha colpito tutti i popoli della Terra, i quali si sono sentiti più vicini, che nel passato. Così come per la prima volta la pandemia ci ha fatto scoprire un mondo virtuale, un mondo digitale, in cui la telemedicina e la digitazione sono diventate un mezzo di avvicinamento fra le persone e, quindi, di trasmissione di messaggi e di vicinanza. Un mondo in cui tutto diventa realtà e vicinanza di affetti e di intenti.
E questo si ripercuoterà sia sul piano sanitario, sociale, economico, ma soprattutto politico, con un maggiore avvicinamento dei popoli e delle loro culture. Purtroppo, se per alcune fasce sociali il progresso sarà molto sostenuto, positivo, per altre invece, che non saranno pronti a cogliere le opportunità che il capitalismo darà, si troveranno in serie difficoltà, tanto da creare le basi per una maggiore divaricazione fra ricchi e poveri, fra chi detiene tutto e chi non detiene nulla. A tale proposito Thomas Piketty, in Capitale e ideologia (La nave di Teseo, Milano 2020), fa un’analisi della diffusione della disuguaglianza nel mondo, già presente agli albori della civiltà dell’uomo, ma che è diventato un problema molto più diffuso dal 1600 in poi, e precisamente dall’avvento delle società schiaviste e coloniali, per poi aumentare con la Rivoluzione industriale e quindi la Rivoluzione tecnologica del XX secolo, allorquando si sono avute le grandi trasformazioni come l’uguaglianza incompiuta delle società socialdemocratiche, delle società comuniste e post-comuniste, fino alla globalizzazione e all’ipercapitalismo del XXI secolo.
Così, oggi, noi, malati di antropocentrismo, ci troviamo di fronte a livelli di disuguaglianza molto elevati, i quali, secondo l’Autore, sono destinati a salire e ad aumentare in quasi tutto il pianeta. Del resto, oggi tale disuguaglianza si manifesta già in Italia, dove la povertà sta crescendo e le disuguaglianze stanno aumentando. Disuguaglianze che sono anche il frutto della crisi del capitalismo neoliberale, dovuto alla perdita di potere del sindacato e al venir meno della lotta di classe. Afferma, a tale proposito Maurizio Ferrara: “La seconda metà del XX secolo ha addomesticato il conflitto di classe, temperando il capitalismo con la democrazia e il welfare. Con l’inizio del nuovo secolo, l’equilibrio fra questi tre elementi ha iniziato a vacillare. La ragione sta essenzialmente nell’indebolimento del contenitore: lo Stato nazionale.
La globalizzazione e l’apertura dei mercati hanno rimosso confini e barriere regolative territoriali. La delega di poteri e funzioni alle istituzioni internazionali e all’Unione Europea, i vincoli di bilancio e le riforme strutturali necessarie per mantenere competitività di sistema hanno causato profondi rivolgimenti nella struttura economica. L’esito complessivo di questi processi è stato un forte aumento delle disuguaglianze e della insicurezza sociale” (Corriere della Sera/La Lettura, 4 aprile 2021). Infatti, con la globalizzazione i ceti medi tradizionali ormai non riescono più a stare al passo con la globalizzazione e rimangono sempre più indietro, ai margini, se non del tutto esclusi, dalle dinamiche della nuova economia, tanto da dare origine all’ondata di populismo demagogico, che ha già fatto registrare in alcuni casi vere rivolte dal basso, anche violente.
Mentre dall’altra parte vi è l’ascesa del “neoliberalismo tecnocratico dall’alto”, un sistema di governo imposto dalla super-classe, che ha promosso la deregolamentazione, lo smantellamento delle barriere nazionali e il dumping sociale, l’indebolimento del sindacato, tanto che a fronte di questi sviluppi deleteri si rischia di uccidere la democrazia, e quindi lo stato sociale e la stessa autorità dello Stato, che proprio in questi ultimi decenni, con il fenomeno della globalizzazione, ha visto diminuire la sua presenza nella società civile, a discapito del Welfare State e della distribuzione equa della ricchezza. Ricchezza, che proprio in questo periodo di pandemia, ha visto accumularsi in solo poche mani e in soli pochi ricchi, i quali sono diventati ancora più ricchi. Mentre la gente si sta impoverendo sempre di più. In altri termini, nei paesi occidentali la concentrazione di proprietà è aumentata sempre più, specie dagli anni ottanta e novanta in poi, creando seri problemi sul piano sociale ed economico della gente in generale.
E oggi, specie dopo la pandemia, si è convinti che la forbice fra ricchi e poveri, fra vincitori e perdenti, si allargherà sempre più, tanto da creare i presupposti per una maggiore disuguaglianza fra i popoli del mondo. Così, afferma a tale proposito Carlo Bastanin: “La povertà e la disuguaglianza non recederanno. Il nuovo mondo non riparte diverso da prima, anzi riparte peggiore: ci saranno 100 milioni di individui in più in povertà assoluta, secondo la Banca mondiale. Ma, come ogni volta, il mondo ripartirà, con i suoi istinti economici, con più rabbia che dolore” (Repubblica/Robinson, 20 marzo 2021).
Ed ecco allora che oggi servono politiche deliberate di promozione sociale e democratiche, di promozione di equità territoriale che tengano conto delle diverse situazioni territoriali e delle loro potenzialità. Una società aperta fondata sulla conoscenza, sull’istruzione, sulle opportunità, sulla formazione, sulla innovazione e sulla digitalizzazione. In altri termini una società aperta al futuro.
*Società di Storia Patria per la Puglia
Dall'Antropocentrismo all'Ecocentrismo. É tempo di cambiare rotta
di Giuseppe Piemontese*
Ci credevamo superiori e al sicuro da ogni epidemia o malattia che potesse colpire l’intera umanità, diffondendosi in ogni nazione e in ogni angolo del mondo, mentre oggi ci accorgiamo che siamo fragili e insicuri, sia sul piano sanitario che sul piano economico, con una paura che ci sta creando seri problemi di convivenza e quindi di fiducia nel domani.
Il Virus nasce dalla Natura offesa dall'Uomo.
Ci credevamo superiori e al sicuro da ogni epidemia o malattia che poteva colpire l'intera umanità, diffondendosi in ogni nazione e in ogni angolo del mondo, mentre oggi ci accorgiamo che siamo fragili e insicuri, sia sul piano sanitario che sul piano economico, con una paura che ci sta creando seri problemi di convivenza e quindi di fiducia nel domani.
Quella fiducia che pochi anni indietro era nella nostra mente e quindi nel nostro cuore, fiduciosi che la scienza e la tecnologia poteva vincere ogni cosa, specialmente in campo sanitario e della salute pubblica. Non è così. Come non è così per tutto quello che ci sta succedendo sul piano sociale, economico e politico, in cui il progresso, fino ad adesso portato vanti con fiducia e speranza, ci sta mostrando i suoi lati negativi, che ritroviamo specialmente per quanto riguarda il fenomeno della globalizzazione, ma anche nei rapporti fra la politica e la comunità, ormai estranee ad essa e priva di qualsiasi legame con il potere.
Sta arrivando la fine della pandemia
E tutto questo in un mondo in continuo disordine sul piano sociale, politico, economico, ma soprattutto nei rapporti fra le nazioni ei popoli, per non parlare poi fra le stesse religioni, che dovrebbero basare il loro credo più che sull'intolleranza, quanto sulla reciproca solidarietà, sull'osservanza di alcuni principi morali ed etici.
Principi che purtroppo oggi sono improntati sulle differenziazioni e sugli odi di parte, tanto da produrre forme estreme di violenze e di fanatismi. Gli stessi che oggi si manifestano in alcuni popoli, sia in Occidente che in Oriente. Ed ecco l'obbligo di ripensare non solo il presente, Le sfide dell'uomo contemporaneo (BastogiLibri, Roma 2020) , alcuni principi politici ed economici del passato, fra cui le divisioni degli Stati attraverso l'erezione di muri e confini, il ritorno delle barriere, il venir meno del senso di territorialità e di appartenenza, il problema legato al cambiamento climatico, la fine del mondo liquido, l'antropocentrismo esasperato che ha fatto dell'uomo orfico un uomo prometeico, tanto da descrivere l'uomo come un animale egoista e superficiale e, ancora le disuguaglianze sociali, il naufragio delle civiltà, il divario fra Nord e Sud del mondo, derivante dal fallimento del neoliberismo e della stessa modernità. Il tutto visto nell'ambito di una crisi della nostra stessa civiltà occidentale, che vede il ritorno di forme di autoritarismo e la crisi dell'idea di democrazia e di libertà. Un mondo, che si avvia, sempre più,come stava succedendo in America al tempo di Trump, in Europa, in Polonia e Ungheria, in Gran Bretagna con la Brexit, e in tante altre parti del mondo, dove i partiti tradizionali non esistono ormai più, sostituiti da nuovi movimenti, che inneggiano al populismo e alla democrazia rappresentativa di pochi, a danno dei più. E dove la libertà e la democrazia sono fondate più sull'individualismo sfrenato e sul potere economico, che sulla solidarietà fra i popoli e le comunità. In questo senso, molti si chiedono: "Quale mondo avremo dopo la pandemia da Covid-19?".
Una pandemia, che ha creato seri problemi non solo sul piano sanitario, il cui settore in questi ultimi anni ha subito una massiccia decurtazione finanziaria e qualitativa, quanto una profonda crisi sociale ed economica. Un mondo da ricostruire e da rifondare su altri principi e altri diritti, che non siano solo quelli del profitto e dell'arricchimento personale. Un mondo più solidale, più umano, con salde basi verso il sociale, in cui la politica sia messa al servizio dell'uomo e non viceversa.
Un mondo che non sia solo l'espressione dell'antropocentrismo, ma che sia l'espressione dell'ecocentrismo e di un mondo in cui vi sia più rispetto per la Natura e più uguaglianza e solidarietà fra i popoli. È ora, come afferma Edgar Morin, di cambiare strada. Da tutto ciò dipende la stessa sopravvivenza non solo della Terra, ma soprattutto dell'Uomo. La crisi pandemica, oggi, è solo un avvertimento, di ciò che un domani può succedere in maniera irreversibile. In altre parole, facciamo che il presente ci indichi la via maestra per costruire un mondo migliore.
* Società di Storia Patria per la Puglia
Costruire una rete per l'inclusione è possibile. Presentazione di un operatore
Antonio Lo Conte. Educatore professionale sanitario, è dipendente dell'Asl Foggia, dove svolge il servizio presso NPIA _CAT (Servizio di Neuropsichiatria Infantile e Adolescenziale - Centro Territoriale dell'Autismo) nella sede di Cerignola, svolge anche funzioni di Referente dell'integrazione scolastica dell'ambito territoriale di Cerignola-Stornarella-Stornara -Ortanova-Ordona-Carapelle.
https://www.youtube.com/watch?v=e655Y6re6S8
Ha svolto, precedentemente, un'esperienza lavorativa di circa 15 anni come Coordinatore (titolato dal Master in Management) con funzioni organizzative di risorse umane ed economiche di Comunità Riabilitativa Psichiatrica Residenziale e Casa alloggio per Adulti del privato socio-sanitario.
Antonio Lo Conte
Ha conseguito e svolto il ruolo di Facilitatore, nel promuovere gruppi di auto mutuo aiuto nella Salute mentale. E 'un Allenatore di calcio, con esperienze nel settore dilettantistico e attività all'avviamento allo sport nei settori giovanili locali e negli ambiti scolastici pubblici e privati.
Svolge, altresì, il ruolo di Presidente dell'Anpispuglia, coordinando e organizzando, attivita 'sportive, culturali, musicali e teatrali a favore delle persone con disturbi mentali, insieme ai loro familiari, per favorire processi di inclusione sociale e promozione della salute mentale, rispetto allo stigma e al pregiudizio che persiste nei confronti di tali questioni.
Cara Einaudi, di che arte stai parlando?
di Agnese Baini
Pochi mesi fa è apparso per questo editore "L’arte di legare le persone" di Paolo Milone – tutto il contrario di prezioso. Il titolo mi ha fatto subito raccapricciare, ma forse era solo messo lì, un po’ accattivante. Ho pensato di aspettare che altri lo leggessero. E per fortuna! Sono una persona che si infastidisce molto facilmente e questo libro non sarebbe stata una lettura piacevole. In molti hanno elogiato il libro (ahinoi, ahinoi!) e in pochi ma valorosi lo hanno stroncato.
Nel 1968 veniva pubblicato dall’editore Einaudi L’istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico, a cura di Franco Basaglia. Con questo libro l’orrore del manicomio veniva svelato. L’opera ha un impatto straordinario: 8 edizioni di cui due nel corso del 68, 60mila copie vendute, premio Viareggio per la saggistica e tradotto in numerose lingue. Nel 1969, sempre per Einaudi, Franco Basaglia e Franca Ongaro curano Morire di classe: la condizione manicomiale fotografata da Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin. Più di ottomila copie vendute soltanto nella prima tiratura.
Nel 1970, per Einaudi, Franco Basaglia e Franca Ongaro traducono Asylums. Le istituzioni totali. la condizione sociale dei malati di mente e di altri internati di Erving Goffman, per cui scrivono anche un’introduzione. Di questo autore curano anche Il comportamento in pubblico, che esce l’anno seguente, sempre per Einaudi.
Nel 1971, i due coniugi pubblicano per Einaudi il capolavoro La maggioranza deviante: più di 20mila copie vendute nelle prime due edizioni di quell’anno e un totale di 60mila copie vendute dall’uscita al 2010.
Marco Cavallo a Foggia
Nel 1973 esce per Einaudi una nuova edizione di Che cos’è la psichiatria di Franco Basaglia: 10mila copie nel primo biennio.Nel 1975 esce Crimini di pace. Ricerche sugli intellettuali e sui tecnici come addetti all’oppressione: Vladimir Dedijer, Michel Foucault, Robert Castel, René Lourau, Vincenzo Accattatis, Erick Wulff, Noam Chomsky, Ronald David Laing, Erving Goffman, Thomas S. Szasz, Stanley Cohen, John McKnight.
I curatori? Franca Ongaro e Franco Basaglia. L’editore? Einaudi. Nel 1977 Franca Ongaro fa pubblicare da Einaudi Le donne e la pazzia di Chesler Phyllis.
Nel 1978 Franca Ongaro scrive l’introduzione a L’inferiorità mentale della donna di Paul Julius Möbius, che esce per Einaudi, e sempre nello stesso anno scrive per l’Enciclopedia Einaudi le voci “Clinica”, “Cura/normalizzazione”, “Donna”, “Esclusione/intergrazione”; nel 1979 le voci “Farmaco/droga”, “Follia/delirio” (con Franco Basaglia), “Medicina/medicalizzazione” (con Giorgio Bignami). Tutte queste voci sono state raccolte in un libro pubblicato da Einaudi.
Nel 1980 Franco Basaglia muore e Franca Ongaro cura per Einaudi la pubblicazione di due volumi che raccolgono gli scritti del marito: nel 1981 esce il primo, 1953-1968: dalla psichiatria fenomenologica all’esperienza di Gorizia, e nel 1982 il secondo, 1968-1980: dall’apertura del manicomio alla nuova legge sull’assistenza psichiatrica. Mi fermo qua, ma Einaudi negli anni seguenti ha continuato a pubblicare i testi di Franco Basaglia e di Franca Ongaro.
Ora vi dico due cose di me: ho una laurea triennale e una magistrale in Storia dell’editoria e ho appena concluso un Master con una tesi in cui analizzo come i disturbi e le malattie mentali vengano rappresentati nella narrativa italiana.
Einaudi è stata ed è tuttora una casa editrice importante per la trasmissione della cultura italiana. In un certo senso, ha fatto la storia dell’Italia. Ha pubblicato negli anni capolavori di letteratura e di saggistica, ha alimentato i più importanti dibattiti culturali, ha contribuito a diffondere autori di riferimento per il pensiero critico. Sulla storia delle case editrici vi rimando al libro di Gian Carlo Ferretti, Storia dell’editoria letteraria in Italia (sapete già chi è l’editore).
Pochi mesi fa è apparso per questo editore L’arte di legare le persone di Paolo Milone – tutto il contrario di prezioso. Nonostante nell’ultimo anno io abbia letto (quasi) soltanto libri che parlano di disturbi e malattie mentali e nonostante la narrativa sulla malattia è uno dei miei generi preferiti, ho deciso di non leggere questo libro.
Il titolo mi ha fatto subito raccapricciare, ma forse era solo messo lì, un po’ accattivante. Ho pensato di aspettare che altri lo leggessero. E per fortuna! Sono una persona che si infastidisce molto facilmente e questo libro non sarebbe stata una lettura piacevole. In molti hanno elogiato il libro (ahinoi, ahinoi!) e in pochi ma valorosi lo hanno stroncato. Vi rimando ad articoli pubblicati proprio su questo Forum (questo, questo, questo, questo e, soprattutto, questo).
Diciamo, per chi fosse ancora indeciso, che il titolo non è soltanto una frase accattivante. E come può, allora mi chiedo, Einaudi proprio Einaudi pubblicare un libro del genere mentre nel suo catalogo si trova Franco Basaglia? Franco Basaglia che, in uno dei suoi primi giorni da Direttore dell’Ospedale Psichiatrico di Gorizia disse all’ispettore capo, Michele Pecorari, mentre gli porgeva il registro delle contenzioni: «Mi no firmo». Tre semplici parole ma che hanno cambiato tutto: i matti non vanno legati, la contenzione non è una cura, la libertà è terapeutica.
Einaudi proprio Einaudi che negli ultimi anni aveva pubblicato La prima verità (2016) e Parla, mia paura (2017) di Simona Vinci, L’uomo che trema di Andrea Pomella (2018), Svegliami a mezzanotte di Fuani Marino (2019). La storia di Leros, l’isola manicomio, e tre storie sull’ansia, sul suicidio e sulla depressione. Dei testi generosi per la loro sincerità e per questo dei testi da leggere per approfondire, per conoscere, per scoprire. Chi mi conosce, sa che in particolare il libro di Fuani Marino mi ha colpito e da questo libro traggo queste parole: «Questo libro non era solo il racconto di una cosa terribile che mi era successa, ma anche un gesto politico».
Ecco, la storia della casa editrice Einaudi è zeppa di Libri-Gesti-Politici. Pubblicare Basaglia e quella psichiatria era un gesto politico. Ci si schierava – certo, L’istituzione negata ha anche insegnato che quella psichiatria in quegli anni vendeva (si veda: Nicola Badaloni, Il destino del libro: editoria e cultura in Italia, Editori Riuniti – cambiamo, per una volta). Ma ormai, cara Einaudi che hai deciso di rinnegare tutto pubblicando Milone, non hai più né arte né parte.
Fonte: forumsalutementale
La festa di San Michele, una festa di “pellegrini”
di Donata dei Nobili
Giorgio Otranto scrive:"A Monte Sant'Angelo, c'è una grotta naturale, che si addentra in ventiquattro metri nelle viscere della terra, l'insediamento in altura, il bosco, lo scenario del viaggio della montagna garganica, l'aspro percorso in roccia che inizialmente i pellegrini dovevano fare per raggiungere il punto più interno della cripta sono i motivi che, insieme alla sorgente di acqua miracolosa, caratterizzarono da subito il culto dell'Angelo sul Gargano e contribuirono a creare una vera e propria tipologia degli insediamenti micaelici, cioè un modello imitato e diffuso in diversi paesi europei durante il Medioevo. L'arcangelo Michele, oltre alle funzioni bibliche di custode e patrono del luogo, messaggero di Dio, profeta e liturgo, nella tradizione garganica assume una prorompente vitalità, appare ripetutamente, incide la roccia, assume iniziative, ammonisce, punisce, combatte, accorre in soccorso degli uomini, sceglie il sito della propria chiesa e ne rivendica la consacrazione".
Giorgio Otranto scrive:"A Monte Sant'Angelo, c'è una grotta naturale, che si addentra in ventiquattro metri nelle viscere della terra, l'insediamento in altura, il bosco, lo scenario del viaggio della montagna garganica, l'aspro percorso in roccia che inizialmente i pellegrini dovevano fare per raggiungere il punto più interno della cripta sono i motivi che, insieme alla sorgente di acqua miracolosa, caratterizzarono da subito il culto dell'Angelo sul Gargano e contribuirono a creare una vera e propria tipologia degli insediamenti micaelici, cioè un modello imitato e diffuso in diversi paesi europei durante il Medioevo. L'arcangelo Michele, oltre alle funzioni bibliche di custode e patrono del luogo, messaggero di Dio, profeta e liturgo, nella tradizione garganica assume una prorompente vitalità, appare ripetutamente, incide la roccia, assume iniziative, ammonisce, punisce, combatte, accorre in soccorso degli uomini, sceglie il sito della propria chiesa e ne rivendica la consacrazione".
Maggio è il mese del ricordo della leggenda della prima apparizione di san Michele, detta del “Toro”. Da diversi secoli, sul Gargano, ed in diverse località, l’Arcangelo viene festeggiato l’8 maggio e il 29 settembre.
Una festa religiosa vissuta con forte sentimento di fede da tanti pellegrini, che affonda le sue radici nei culti pagani, poi sostituiti da quello cristiano. Un momento di vita spirituale, che porta tanti fedeli a Monte Sant’ Angelo. Ed oggi, la Città continua a narrare i tempi passati di un Arcangelo di pastori, divenuto Arcangelo di guerrieri e tornato Arcangelo di pellegrini.
Ma che cosa accadeva nelle strade di questo luogo in quei giorni di festa? Il 7 maggio la città sacra dell’Arcangelo assumeva un aspetto misterioso per l’arrivo di pellegrini, che venivano accolti in case private e dormivano su sacchi di paglia. Attraverso impervi sentieri, coste dei monti, dirupi, giovani e vecchi, uomini e donne, sgranando il rosario, salivano il monte per le serpeggianti scorciatoie, fino ad arrivare in città. Ogni anno, i pellegrini oranti salivano la Montagna per incontrare e pregare l’Arcangelo. E lo facevano per rievocare l’8 maggio, “la festa dei popolani”, e il 29 settembre, la festa “colta e libresca”. Due date che avevano molto a che fare con la transumanza e con i pastori abruzzesi, ma anche con le compagnie di pellegrini. Il pellegrinaggio delle compagnie è un “racconto” di religiosità popolare, legato, per tanta parte, non solo alla liturgia della Chiesa, quanto ai vari cicli dell’uomo e alla sua cultura popolare.
L’ apertura del pellegrinaggio garganico si può collegare all’inizio della primavera (8 maggio), per terminare all’inizio dell’autunno (29 settembre).
Pellegrini al Santuario di san Michele Arcangelo di Monte Sant'Angelo, Foggia
Anzi, queste date rappresentano anche i cicli stagionali della transumanza delle pecore, che, fin dall’antichità, si svolgeva tra l’Abruzzo e la Puglia. Un vissuto della cultura agricolo-pastorale del Gargano, che si è proiettato nel culto di san Michele. Alla metà del VII secolo, della data dell'8 maggio, si appropriarono i Longobardi, per ricordare la vittoria della battaglia contro i Bizantini, combattuta nelle vicinanze di Siponto.
Costoro, dopo la vittoria, fecero della Grotta, reputata oggi tra le 10 grotte sacre più belle d’Italia, il loro Santuario nazionale e san Michele il loro protettore, in quanto popolo di guerrieri.
Fin dal Medioevo, per questi motivi di invasioni e guerre, vinte e perse, la sacra Grotta era stata meta di pellegrinaggi, che avevano lasciato traccia in una ricca documentazione epigrafica, costituita da segni, croci e graffiti estemporanei, tracciate sulle pareti del Santuario, perlopiù da persone analfabete o di bassa estrazione sociale. Era il 7 maggio, scrivevamo, il giorno dell’arrivo dei primi pellegrini, raggruppati in compagnie.
Monte Sant’Angelo, in quei giorni, cambiava, nella quasi indifferenza dei suoi nativi. Per le strade cittadine della città e nell’atrio del Santuario, si incontravano tanti venditori di frutta come arance, carrube, nocciole, cavallucci di cacio, ostie piene, bastoni crociati, ciuffi di foglie di pino, sporte, incensi, quadri multiformi, figurine, corone, statuine e medaglie.
Per la festa religiosa, il 7 maggio divenne il giorno in cui i pellegrini potevano cantare delle strofette, delle litanie, in lode di san Michele, dietro la porta delle Basilica e per ascoltare, nel giorno seguente, la prima messa del mattino e quella successiva. Appena faceva buio, si accendevano enormi fanoje. Le cataste di legna venivano preparate il pomeriggio e custodite da giovani Montanari, che le avrebbero accese. Ultimate le preghiere, con l’accensione dei fuochi, le fiamme arrivavano in alto fino ai balconi e alle finestre cittadine. Era in quel momento che i pellegrini gridavano: “Evviva San Michele; San Michele evviva!”. Durante l’accensione della fanoja, fanciulli e ragazzi cantavano lodi osannanti il guerriero celeste. Consumata la legna dei falò, i cittadini raccoglievano i carboni e li portavano in casa propria. Nel mese di maggio e, in modo particolare, i primi giorni di maggio, la città veniva “ceduta” ai tanti pellegrini, organizzati in compagnia per farne "la città della fede".
Erano giorni in cui la città riscopriva la sua antica tradizione: assumeva un nuovo caratteristico aspetto per la venuta di migliaia di pellegrini. Lungo le tortuose vie bianche, dove sfilavano i vecchi carri pesanti, coperti di stuoie o di cera incerata, ben tesa, su lunghe canne per ripararsi dal sole e dalla pioggia, oggi sfilano moderni pullman e tantissime macchine. Allora, come oggi, alla testa di ogni compagnia c’era un “priore”, che guidava il gruppo e si preoccupava dell’organizzazione e dello svolgimento del pellegrinaggio, stabiliva le tappe e i tempi di percorrenza, intonava i canti e le preghiere, prescriveva le penitenze. Il “priore” veniva aiutato da una “priora”. I membri di ogni “compagnia” indossavano di solito fasce e fazzoletti dello stesso colore e portavano coccarde, distintivi o medaglie con la stessa immagine.
Una volta ultimati i preparativi, le compagnie, con alla testa uno stendardo e una croce, si muovevano dal paese d’origine e raggiungevano a piedi il Santuario, percorrendo a piedi l’ultimo tratto di strada, talvolta trascinando, in segno di penitenza, un pesante masso legato al collo. Ancora oggi, alcuni massi sparsi nelle vicinanze del Santuario sono considerati dalla credenza popolare retaggio di tale tradizione. "I pellegrini, scesi nella Grotta, dopo la santa messa, -riferisce il maestro e voce narrante delle tradizioni popolari di Monte Sant’Angelo Domenico Palena- bevevano un bicchiere "d'acqua di san Michele", attinta dal pozzetto, ritenuta salvifica. Molti di loro, la portavano a casa per i fedeli malati".
L’ingresso nel Santuario di alcune compagnie, tra cui quelle di Boiano, S. Marco in Lamis e Bitonto, che sono tra le più antiche e organizzate, veniva accompagnato dal suono delle campane, mentre i pellegrini intonavano inni, canti, litanie, filastrocche in cui si raccontavano le imprese celesti di san Michele. La compagnia di Boiano e di Torretto veniva rappresentata con il miracolato, caratterizzato da un devoto con i piedi nudi che, con la croce in mano, ascendeva il sacro Monte. Ai lati, vi erano dei devoti che portavano dei lampioncini: simboli di luce e di speranza. Due ragazzi, con campanacci, annunziavano il passaggio della compagnia. Essi ritmavano il tempo del canto che si snodava lungo la strada diretta al Santuario di san Michele, canto che si caratterizzava attraverso l’assolo di un pellegrino e il coro della compagnia.
Queste stesse compagnie seguivano ancora il rito delle pietre. Essi compivano a piedi la salita della montagna e ad ogni curva raccoglievano una pietra che si caricavano sulle spalle. Giunti in cima, si contavano le pietre: il numero 18 veniva interpretato come invito dell’Arcangelo a ritornare in pellegrinaggio, mentre il numero 19 veniva considerato come una segno di san Michele per aver concluso il pellegrinaggio.
I sassi venivano, poi, appesi agli alberi del boschetto presso la Basilica. Fra le tante compagnie che raggiungevano la città dell’Arcangelo, vi erano quelle che cantavano l’ora pro nobis al suono “ddi ciaramaedde” e fra esse la più importante era quella di Atina, che arrivava la sera del 7 maggio. Non meno importante era la compagnia di Bitonto, che continua a donare grossi recipienti di olio per alimentare, per tutto l’anno, la lampada votiva che arde da secoli nella sacra Spelonca. Il dono veniva, e viene fatto, per conto degli abitanti, dell’industrie di Bari e provincia.
A circa 20 chilometri di distanza da Monte Sant’Angelo, inoltre, esisteva una fonte d’acqua presso la quale i pellegrini si fermavano per il "battesimo" e il lavaggio dei peccati, una vera e propria cerimonia penitenziale, che imponeva ai novizi la corona d spine in testa e l’ingresso nel santuario a piedi scalzi. Fino a qualche decennio addietro, molte compagnie, in prossimità del Monte Gargano, avevano l’usanza di mettere all’asta i propri stendardi e i propri simboli, il ricavato veniva donato al clero della Basilica. Caratteristica è anche la compagnia di San Marco in Lamis, il cui pellegrinaggio al Santuario di san Michele avviene ogni anno tra il 25 e il 27 maggio. I pellegrini s’incamminano a piedi da San Marco a Monte ed il loro cammino è simbolo del viaggio, con tutti i valori simbolici di cui esso si carica, visto come momento di rischio, esperienza di trauma fisico e psicologico dal distacco delle cose e delle persone conosciute e familiari. Le compagnie più assidue, ancora in questo tempo, sono quelle campane (Caivano, Aversa, Atella, Giuliano, Ottaviano), abruzzesi e molisane (Atessa, San Salvo, Lanciano, Basto, Boiano, Ripabottoni), Lucane (Potenza, Avignano, Genzano) e Pugliesi (San Marco in Lamis, Bari, Terlizzi, Bitonto). Se nei tempi passati, moltissimi contadini abruzzesi salivano a piedi il faticoso ed aspro monte, la Montagna dell’Angelo, scalzi, con poco pane e pochissimi soldi, oggi questa tradizione non è del tutto scomparsa.
All'inizio del mese di maggio, la compagnia di San Salvo parte in treno fino a San Severo. Poi, a piedi, inizia il suo pellegrinaggio con pernottamento a Stignano. Il giorno dopo, da Stignano si reca al convento di san Matteo per raggiungere San Giovanni Rotondo. La mattina successiva, si raccoglie in preghiera e, dopo la celebrazione della santa messa in onore di san Padre Pio, riprende il cammino per giungere, il 2 maggio, al santuario di san Michele. La mattina, tutti i fedeli della compagnia partecipano alla santa messa nella sacra Spelonca e solo dopo si incamminano a piedi per Manfredonia, dove vengono accolti dai parrocchiani e dal parroco della chiesa di san Michele. Un tempo, però, la compagnia, prima di scendere a Manfredonia, andava all'abbazia di Pulsano. Da Manfredonia, il giorno dopo, raggiunge la chiesa dell’ Incoronata, vicino Foggia e da lì si reca a Bisceglie e l'8 maggio raggiunge Bari per la festa di san Nicola. Fino agli anni Ottanta del secolo scorso, molte compagnie, come quelle di Sant’Elia Fiume Freddo, continuavano a percorrere la strada a piedi fino al Santuario. Tra queste, molto autorevole resta la compagnia di Potenza che, da tempi remoti, per le ricche offerte fatte all’Arcangelo, ha il privilegio di essere accolta al suono festoso delle campane di san Michele. Nei secoli passati, questa compagnia portava in processione la Ferrizz, una casetta a forma di prisma quadrangolare, formata di “ferule” su cui si mettevano centinaia di candele di varie dimensioni, tenute ferme dai nastri multicolori. Sulla parte anteriore, invece, campeggiava la figura dell’ Arcangelo. La “Ferrizz” è chiamata “la centa” nei paesi del salernitano. Queste usanze di devozione a san Michele vengono, tutt’oggi, denominate religiosità popolare.
La società del disagio
di Giuseppe Piemontese*
Alain Ehrenberg, in un suo libro "La società del disagio. Il mentale e il sociale", ci da un quadro di un mondo sempre più complesso, scollegato completamente con il passato, nel quale si manifestano tutti i sintomi di una società del disagio, e quindi del malessere sociale.
Alain Ehrenberg, in un suo libro La società del disagio. Il mentale e il sociale (Einaudi, Milano 2010), ci parla di un mondo sempre più complesso, rispetto al passato, in cui si manifestano tutti i sintomi di una società del disagio, e quindi del malessere sociale. Un mondo in cui al centro vi è la salute mentale, versi cui gli studiosi, solo dagli anni Settanta, hanno iniziato a fare ricerca e a delineare il campo attraverso interventi mirati a sollevare le persone da uno stato di disagio mentale diffuso, che oggi va sotto la denominazione di depressione. Parola che fino agli anni Settanta non si conosceva, oppure non era che una sindrome associata a molte altre malattie mentali. Invece, dagli anni Settanta di essa si è incominciata a interessare la psichiatria, tanto da far affermare che forse è il disturbo mentale più diffuso nel mondo. A. Ehrenberg vi ha dedicato diversi anni di studio e diversi libri, fra cui ricordiamo "La fatica di essere se stessi" (Einaudi, Milano 1999), che ha avuto un grande successo e ha aperto la strada agli studi sulla depressione e quindi sul disagio mentale. Nel libro si vuole dare una risposta alle tante domande che provengono dalla società, ma specialmente dalle persone affette da questa malattia, che ormai colpisce quasi il 20-30 % delle persone.
Ehrenberg afferma che: “La depressione è intrinseca, strettamente legata a una società come quella contemporanea, dove le norme della convivenza civile non sono più fondate sui concetti di colpevolezza e disciplina, ma sulla responsabilità e sullo spirito d’iniziativa”. La depressione nasce dal non essere ormai all’altezza di ciò che gli altri si aspettano, oppure di non essere uguale agli altri, o a canoni ormai decodificati e prescritti dalla società. Tutto questo crea i presupposti, a livello generale, per una società di disagio, incapace di dare un senso non solo a livello individuale, ma anche e soprattutto a livello comunitario. “Fra i sintomi che riemergono nel contesto di una depressione, afferma Eugenio Borgna, nella Prefazione al libro, Ehrenberg sottolinea in particolare l’importanza dell’ansia, della insonnia e soprattutto della fatica ad essere se stessi (della inibizione), anteponendo questi sintomi a quelli della tristezza, del dolore morale e della colpa. La depressione è intesa, così, come una patologia dell’azione e non come una perdita della gioia di vivere” (Ehrenberg, 2010, p. XVIII-XIX). In questo senso vi è una fatica eccessiva di vivere rispetto alla normalità. La fatica di prendere iniziative e, quindi, di realizzare le cose. Ehrenberg trova le cause di tutto ciò nei paradigmi sociali, con cui è costituita la nostra cultura, che si caratterizza attraverso la realizzazione di progetti, di motivazioni e di comunicazione. È come ci si trovasse di fronte ad un essere senza tempo, in quanto esso rappresenta il futuro, l’avvenire.
Afferma E. Borgna: “La inibizione, in particolare, alla quale è legata l’esperienza soggettiva di fatica e di scacco nella realizzazione personale e sociale, si costituisce come una modalità di vivere inconciliabile, in ogni sua forma e in ogni sua dimensione clinica, con l’immagine che la società richiede a ciascuno di noi; e la coscienza di questo crudele fallimento sul piano della responsabilità e della iniziativa dilata (amplifica) immediatamente i confini della sofferenza e della inadeguatezza che sono presenti in ogni depressione e che i modelli sociali dominanti rendono, appunto, ancora più dolorose e talora insanabili” (Ehrenberg 2010, p. XX). Purtroppo, oggi, nozioni come quelle di salute mentale e sofferenza psichica, che non avevano alcuna importanza prima della svolta degli anni Ottanta, occupano ormai una posizione di primo piano.
Il disagio esistenziale
E questo grazie anche al movimento di emancipazione dei costumi e alle trasformazioni dell’organizzazione dell’impresa e alla crisi del sistema di protezione sociale che ha avuto inizio nel corso degli ani Novanta. Da questo momento, di salute mentale e di disagio psichico si sono interessate diverse scienze, fra cui la biologia, la psicologia, la filosofia morale, la sociologia, fino alle scienze neurologiche, compresa la psichiatria.
In tutto ciò si sono creati diversi settori che studiano l’uomo da un punto di vista biologico, psicologico e sociale. E tutto ciò non trascurando l’aspetto morale o etico, legato, per alcuni, anche alla necessità di una nuova Metafisica e, come oggi si suole dire, ad un nuovo umanesimo o post-umanesimo.
Al centro di tutto vi è la ricerca di affermare l’autonomia della persona, che consiste, da una parte nella libertà di scelta in nome della proprietà di sé e, dall’altra nella capacità di agire da sé nella maggior parte delle situazioni della vita.
In questi ultimi anni la psichiatria ha subìto un processo evolutivo tanto da passare dal considerare la follia da semplice malattia da condannare, a disagio mentale da guarire e da considerare il “folle” non più come un reietto della società, ma come una conseguenza del “disagio della civiltà”; disagio che nasce quando l’individuo è caricato troppo nelle sue responsabilità e nelle sue attese da parte della stessa società. Questo nuovo indirizzo verso la “socializzazione” del malato mentale si è avuto per primo negli Stati Uniti, ad opera di sociologi e psicologi, come Richardt Sennet con Il declino dell’uomo pubblico. La società intimista del 1974 e Christopher Lasch con La cultura del narcisismo, del 1979, per poi diventare campo di analisi negli studi sociologici di Anthony Giddens e di Alain Touraine, in cui la sofferenza psichica e la salute mentale sono oggi il test sociologico che misura il grado del declino della società contemporanea.
Una paura non solo dell’individuo, ma anche del sociale. E ciò non perché ci troviamo in presenza di un indebolimento del legame sociale o di declino della regola sociale, ma di trasformazioni nelle regole sociali e nello spirito delle istituzioni. Oggi il disagio mentale è diventato sinonimo di stato mentale, da rapportarsi al disagio della civiltà e, quindi, della cultura contemporanea. Per questo si parla di fine della cultura, di crisi d’identità, di crisi delle città, di crisi della politica come crisi della società in generale (vedi Habermas ). E questa crisi, se un tempo si manifestava a livello individuale, oggi essa si manifesta a livello collettivo, così come ha affermato, all’inizio del secolo XX Marcel Mauss (1921). Questi, infatti, ha messo in rilievo in cosa consiste il carattere sociale della soggettività, dell’affetto, delle emozioni, dei sentimenti. In questo senso oggi, all’inizio del nuovo Millennio: “la salute mentale è diventata il linguaggio contemporaneo, la forma d’espressione obbligatoria non solo del malessere o del benessere, ma anche di conflitti, di tensioni o di dilemmi di una vita sociale organizzata in riferimento all’autonomia, che prescrive agli individui modi di dire e di fare” (Ehrenberg 2010, p. XV). “La salute mentale ha così, afferma Ehrenberg, a che fare, a differenza della psicopatologia tradizionale o della psichiatria classica, con fenomeni generali della vita collettiva, quelli che dipendono al contempo dalla coesione sociale e dal significato di quanto accade, vale a dire dalla coerenza sociale” (Ehrenberg, 2010, p. XVI). In tutto questo discorso sul disagio mentale e, quindi, sulla crisi d’identità entra il discorso su alcuni termini qualificativi come “modernità”, “postmodernità”, “società”, “individualismo”, “capitalismo”, “neoliberalismo”, “globalizzazione”, “uguaglianza”, “libertà”, “democrazia”, “diritti”, ecc. Termini che oggi hanno assunto delle valenze sociologiche, oltre che culturali.
Infatti, siamo passati dalla crisi della modernità al disagio della post-modernità, al fenomeno della globalizzazione, come causa ed effetto di disuguaglianza, temi descritti da diversi sociologi, economisti, psicologi come A. Tauraine, Z. Bauman, J. J. Stiglitz, U. Beck, D. Harvey, M. Castells, D. Rodrik, ecc. Il punto adesso è come tutto ciò influisca sulla salute mentale e come questa possa essere curata e trattata in maniera scientifica. A tale proposito A. Ehrenberg, autore appunto del libro La società del disagio (2010), adottando i metodi di un’antropologia comparativa, esamina i due più importanti modelli di interpretazione della sofferenza mentale, quello americano e quello francese, focalizzandosi sugli usi della ricerca sociale e della psicoanalisi nei due paesi. Negli Stati Uniti si preferisce di più dedicarsi all’esperienza individuale del paziente, mentre in Francia si preferisce rapportare la malattia mentale ad un disagio nella società. Questa ultima corrente psichiatrica viene catalogata come psichiatria sociale o comportamentale, la quale “si occupa di studiare sia l'influenza dei fattori sociali sulla genesi e sul decorso spontaneo dei disturbi psichici (comprendendo in questo tipo di indagine l'epidemiologia psichiatrica) sia il rapporto fra i fattori socioculturali e il trattamento dei disturbi psichici stessi” (Ehrenberg, 2010). Da questo momento, inizia la crisi del liberalismo e, quindi, l’entrata in un'epoca in cui non ci sono più certezze e, quindi, verità da difendere. Inizia così il percorso tormentato del disagio sociale e, quindi, mentale, in un contesto in cui non solo è morto l’individuo, ma con lui la società.
La stessa che sarà al centro dell’analisi psicologica da parte degli studiosi francesi, che porranno al centro di ogni dibattito non più l’individuo, ma la società nel suo complesso sociale, culturale e antropologico. In altri termini la psicoanalisi francese, rispetto a quella americana, privilegia più l’aspetto sociale che quello individuale. Di questa nuova impostazione psicoanalitica il capostipite è Jacques Lacan (1901-1981). Per Lacan il soggetto o Io non è il dato originario della vita psichica dell'individuo, ma il risultato di una costruzione. In lui ciò che hanno valore sono i legami sociali, da cui nascono le nevrosi. E ciò in conseguenza al declino della figura paterna. In altri termini, in Lacan c’è un contrasto fra l’ideale sociale e l’illusione dell’Io.
Con l’ingresso nella cultura di massa, la psicanalisi entra nella quotidianità della gente, grazie anche ai mezzi di comunicazione, come riviste e giornali. L’io individualistico diventa l’io collettivo.
È l’epoca della soggettività liberata in cui il capitalismo e il neoliberalismo godono di ottima salute, tanto da creare le basi per una globalizzazione generalizzata sul piano sociale, culturale ed economica. È, in un certo qual modo, il distacco della società dalla politica e, quindi, dal potere decisionale. È l’epoca della nascita dei movimenti che si riconoscono più che nei partiti tradizionali, in alcune idee innovative e contestative dell’ordine pubblico, rappresentate da alcuni laeder. Per la prima volta viene a galla “il disagio del lavoro”, la crisi delle identità territoriali, che poi si riconnette, a livello generale, al “disagio della civiltà”. E questo in conseguenza anche del “trionfo del capitalismo liberale sul capitalismo di Stato”. La precarietà del lavoro, all’inizio del Duemila, diventa strutturale, tanto da costituire “il volto nascosto della modernizzazione”. E tutto questo porta direttamente verso “la società del disagio” e, quindi, la precarizzazione dell’esistenza, acuita oggi, in maniera esponenziale, dalla pandemia, che ha messo in evidenza la fragilità dell’uomo e il suo “disagio psichico” di fronte alla realtà della vita.
*Società di Storia Patria per la Puglia
Quale speranza ci darà la sanità di Draghi?
di Pasquale Biscari *
Le conseguenze della campagna vaccinale in corso c'è una tregua armata vige tra il Covid e l'Umanità intera. Sembra che in Italia le cose vadano meglio; ma alla luce dei miliardi che stanno per arrivare dall'Europa, possiamo davvero sperare che le cose andranno meglio in futuro e non verranno ripetuti errori di cui paghiamo ancora oggi le conseguenze?
Siamo ormai alle porte dell'estate e, per merito incontrovertibile della campagna vaccinale in corso, una tregua armata vige tra il Covid e l'Umanità intera.
Sembra che in Italia le cose vadano meglio; ma alla luce dei miliardi che stanno per arrivare dall'Europa, possiamo davvero sperare che le cose andranno meglio in futuro e non verranno ripetuti errori di cui paghiamo ancora oggi le conseguenze?
Sarà dato alla Sanità Pubblica tutto ciò di cui davvero ha bisogno?
Saranno date all'intero territorio italiano le stesse possibilità di gestire i LEA e i LEP con Equità sia al Nord che al Sud del Paese?
Si potrà fare davvero di più, anzi molto di più, per avere nelle strutture pubbliche personale a sufficienza e preparato per l'Emergenza?
Sarà dato alla Sanità ciò che è stato tolto e poi ripromesso? Sono queste le domande che ci facciamo ora che tutti aspettiamo dalle mani del demiurgo dell'alta finanza europea il miracolo del nuovo che arriverà.
Descrivere la sanità in Italia
Viste le prospettive dei fondi molto modesti destinati alla Sanità Pubblica, speriamo di non dover raccontare ancora la stessa storia di sempre. Tutti vorremmo ad esempio che fosse risolto il problema vero, quello dei medici delle Strutture Pubbliche mal pagati e deboli sindacalmente per dover assicurare comunque un servizio continuativo per le urgenze.
Operatori Sanitari preparati e volenterosi spesso aggrediti e dilegiati durante il lavoro da disperati loro stessi vittime di un Sistema Sanitario iniquo.
Questi Operatori resteranno ancora pochi a causa del numero chiuso per l'accesso alla facoltà di Medicina e alla Specialistica post laurea per i ghiribizzi delle baronie accademiche? E i medici della Medicina Generale, meglio pagati e ben rappresentati sindacalmente, (quantunque in gran parte irreperibili nei momenti critici della pandemia), ora destinatari di onorificenze ben concesse a quelli che si sono davvero prodigati, saranno meglio organizzati ed equipaggiati per affrontare eventuali nuove emergenze e non pagare più col prezzo della vita inadempienze del Sistema Sanitario Nazionale? La Medicina del Territorio e di Prossimità sarà potenziata da una Sussidiarietà Orizzontale e da un Volontariato in grado di dare forma e funzionalità alla Medicina di Città? Le RAS saranno rese più umane da un nuovo assetto organizzativo che privilegia le cure famigliari? Molto si potrebbe fare sul territorio con la Telemedicina, (quella intelligente del tele monitoraggio dei parametri vitali) e con la robotica, ma occorre muoversi.
Ciò che manca e preoccupa è la carenza del capitale umano specie nei Servizi dell'Emergenza come le quelli delle Terapie Specialistiche, quelli delle Terapie Intensive e delle Rianimazioni dove si potrebbe già operare meglio e in modo più efficace in attesa dei nuovi prodigi della Scienza e della Tecnica.
Spero proprio che con la tregua armata dei vaccini qualcosa di buono accada per privilegiare la Sanità Pubblica delle Emergenze dove il personale è oberato da carichi di lavoro spesso insostenibili. Forse sarebbe meglio cominciare a vedere più medici negli ospedali e meno in Tivù!
* Medico Anestesista Referente Commissione Sanità E. R. M24AET
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